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EMATOLOGIA: MALATTIE

MALATTIE

NOTE INFORMATIVE
  

Di seguito, troverete un elenco dettagliato e suddiviso per categorie patologiche delle principali malattie in EMATOLOGIA


Ecco alcuni consigli su come prepararti al meglio:

Prima della visita:

    • Motivo della visita: Annota il motivo specifico per cui ti rechi dall’ematologo. Sii preciso riguardo ai sintomi o alle preoccupazioni che ti hanno spinto a prenotare la visita.
    • Storia medica pregressa:
      • Elenca eventuali malattie o condizioni mediche pregresse, anche quelle che ritieni non correlate al problema attuale.
      • Segnala eventuali interventi chirurgici subiti.
      • Informa l’ematologo su eventuali casi di malattie del sangue in famiglia.
    • Farmaci usati: Prepara un elenco di tutti i farmaci che stai assumendo, inclusi dosaggi e frequenza. Includi anche eventuali integratori, vitamine o rimedi erboristici.
    • Stile di vita pregresso:
      • L’ematologo potrebbe chiederti informazioni sul tuo stile di vita passato, inclusi abitudini alimentari, consumo di alcol, fumo e livello di attività fisica.
      • Se hai apportato cambiamenti significativi al tuo stile di vita, è importante comunicarlo.
    • Esami precedenti: Porta con te tutti gli esami del sangue, referti medici e altri documenti relativi alla tua salute, anche se risalenti nel tempo. Organizzali in ordine cronologico per facilitarne la consultazione.

Domande che potrebbe farti lo specialista:

    • Storia medica recente: Oltre alla storia medica pregressa, preparati a rispondere a domande su eventuali malattie, infezioni o problemi di salute recenti.
    • Stili di vita attuali: L’ematologo indagherà sul tuo stile di vita attuale, comprese abitudini alimentari, attività fisica, consumo di alcol e fumo.
    • Sintomi attuali: Descrivi in dettaglio i sintomi che stai riscontrando, quando sono iniziati, la loro frequenza e intensità, e qualsiasi fattore che li aggrava o allevia.

Come si svolge la visita:

    1. Anamnesi: L’ematologo raccoglierà informazioni sulla tua storia medica, stile di vita e sintomi.
    2. Esame obiettivo: Potrebbe eseguire un esame fisico, che può includere la palpazione di linfonodi, l’auscultazione del cuore e dei polmoni, e l’osservazione della pelle e delle mucose.
    3. Analisi degli esami: Se hai portato esami precedenti, l’ematologo li analizzerà attentamente.
    4. Prescrizione di ulteriori esami: Potrebbe richiedere ulteriori esami del sangue, strumentali o di imaging per approfondire la diagnosi.
    5. Diagnosi e piano terapeutico: In base alle informazioni raccolte, l’ematologo formulerà una diagnosi e, se necessario, definirà un piano terapeutico.

Suggerimenti utili:

    • Sii onesto e preciso: Fornisci informazioni accurate e complete sulla tua salute e sul tuo stile di vita.
    • Non esitare a fare domande: Se hai dubbi o domande, non esitare a chiedere chiarimenti all’ematologo.
    • Prendi appunti: Annota le informazioni importanti fornite dall’ematologo, inclusi eventuali consigli, prescrizioni o appuntamenti di controllo.
    • Mantieni un atteggiamento positivo: Affronta la visita con serenità e fiducia nell’ematologo.

1. ANEMIE

L’anemia da carenza di ferro, anche nota come anemia sideropenica, è una condizione ematologica caratterizzata da una riduzione dei livelli di emoglobina nel sangue, la proteina responsabile del trasporto dell’ossigeno ai tessuti. Questa riduzione è causata da una carenza di ferro, elemento essenziale per la sintesi dell’emoglobina.

Epidemiologia

    • Incidenza: L’anemia da carenza di ferro è la forma più comune di anemia a livello mondiale, colpendo circa 2 miliardi di persone.
    • Distribuzione per sesso: Le donne in età fertile sono maggiormente colpite a causa delle perdite di sangue mestruali. Anche la gravidanza aumenta il rischio di carenza di ferro.
    • Età di insorgenza: L’anemia da carenza di ferro può manifestarsi a qualsiasi età, ma è più frequente nei bambini, negli adolescenti e nelle donne in età fertile.

Eziologia e Genetica

Le cause dell’anemia da carenza di ferro sono molteplici e possono essere classificate in:

      • Ridotto apporto di ferro: diete povere di ferro, soprattutto nei vegetariani e vegani, malassorbimento intestinale (celiachia, Morbo di Crohn), interventi chirurgici che interessano l’apparato digerente.
      • Aumentato fabbisogno di ferro: gravidanza, allattamento, crescita rapida nell’infanzia e nell’adolescenza.
      • Perdite di sangue: mestruazioni abbondanti, emorragie gastrointestinali (ulcere, gastriti, tumori), donazioni di sangue frequenti.

Sebbene la maggior parte dei casi di anemia da carenza di ferro siano acquisiti, esistono anche rare forme ereditarie, come l’anemia sideroblastica e l’ipotransferrinemia, che influenzano il metabolismo del ferro.

Patogenesi

La carenza di ferro porta a una ridotta produzione di eme, il componente dell’emoglobina che lega l’ossigeno. Di conseguenza, i globuli rossi diventano più piccoli (microcitici) e pallidi (ipocromici) e trasportano meno ossigeno ai tessuti. Questo deficit di ossigeno causa i sintomi tipici dell’anemia.

Manifestazioni Cliniche

Le manifestazioni cliniche dell’anemia da carenza di ferro variano in base alla gravità della condizione. I sintomi più comuni includono:

      • Astenia (stanchezza cronica)
      • Debolezza
      • Pallore della pelle e delle mucose
      • Dispnea (difficoltà respiratoria)
      • Tachicardia (aumento della frequenza cardiaca)
      • Cefalea (mal di testa)
      • Vertigini
      • Irritabilità
      • Difficoltà di concentrazione
      • Pica (desiderio irrefrenabile di ingerire sostanze non alimentari, come ghiaccio o terra)
      • Koilonichia (unghie fragili e a forma di cucchiaio)
      • Ragadi agli angoli della bocca
      • Glossite (lingua infiammata)

Nei casi più gravi, possono manifestarsi anche:

      • Splenomegalia (ingrossamento della milza)
      • Insufficienza cardiaca

Procedimenti Diagnostici

La diagnosi di anemia da carenza di ferro si basa su:

      • Anamnesi ed esame obiettivo
      • Esami del sangue:
          • Emocromo completo: rileva la riduzione dell’emoglobina, dell’ematocrito e del volume corpuscolare medio (MCV).
          • Ferritina sierica: misura le riserve di ferro nell’organismo.
          • Sideremia: indica la concentrazione di ferro nel sangue.
          • Transferrina: proteina che trasporta il ferro nel sangue.
          • Capacità totale di legare il ferro (TIBC): misura la capacità della transferrina di legare il ferro.
          • Saturazione della transferrina: rapporto tra sideremia e TIBC.
      • Esami strumentali:
          • Gastroscopia ed endoscopia: per individuare eventuali perdite di sangue gastrointestinali.
          • Colonscopia: per escludere la presenza di lesioni del colon.

Prognosi

La prognosi dell’anemia da carenza di ferro è generalmente buona se la causa sottostante viene identificata e trattata adeguatamente. La maggior parte dei pazienti risponde bene alla terapia con ferro, con un miglioramento dei sintomi e dei parametri ematologici.

Cure e Trattamenti

Il trattamento dell’anemia da carenza di ferro si basa su:

      • Integrazione di ferro:
          • Ferro orale: è la terapia di prima scelta, disponibile in diverse formulazioni (solfato ferroso, gluconato ferroso, fumarato ferroso).
          • Ferro parenterale: (per via endovenosa o intramuscolare) è riservato ai casi di malassorbimento, intolleranza al ferro orale o necessità di una rapida reintegrazione delle riserve di ferro.
      • Trattamento della causa sottostante:
          • Correzione delle perdite di sangue (chirurgia, farmaci)
          • Trattamento delle malattie che causano malassorbimento (celiachia, Morbo di Crohn)

Altri trattamenti:

      • Modifiche dietetiche: aumentare l’apporto di alimenti ricchi di ferro (carne rossa, legumi, verdure a foglia verde) e vitamina C, che favorisce l’assorbimento del ferro.
      • Trasfusioni di sangue: in caso di anemia grave o sintomatica.

Gestione della malattia:

    • Monitoraggio: controlli ematici periodici per valutare la risposta alla terapia e l’eventuale ricomparsa dell’anemia.

L’anemia da carenza di vitamina B12 o acido folico, anche nota come anemia megaloblastica, è una condizione ematologica caratterizzata dalla produzione di globuli rossi (eritrociti) di dimensioni maggiori del normale (macrociti) e dalla presenza di alterazioni morfologiche a livello del nucleo e del citoplasma dei precursori eritroidi nel midollo osseo. Questa anomalia nella maturazione degli eritrociti è causata dalla carenza di vitamina B12 (cobalamina) o di acido folico (vitamina B9), essenziali per la sintesi del DNA e la divisione cellulare.

Epidemiologia

Incidenza: L’incidenza dell’anemia megaloblastica varia a seconda della popolazione considerata e dei fattori di rischio presenti. In generale, è più comune nei Paesi in via di sviluppo e nelle fasce di popolazione con basso apporto alimentare di vitamina B12 o acido folico.

Distribuzione per sesso: L’anemia perniciosa, una forma specifica di anemia da carenza di vitamina B12, è leggermente più frequente nelle donne.

Età di insorgenza: L’anemia megaloblastica può manifestarsi a qualsiasi età, ma è più comune negli anziani a causa della ridotta capacità di assorbimento della vitamina B12.

Eziologia e genetica

Le cause principali dell’anemia da carenza di vitamina B12 sono:

      • Anemia perniciosa: una malattia autoimmune in cui il sistema immunitario attacca le cellule dello stomaco che producono il fattore intrinseco, una proteina necessaria per l’assorbimento della vitamina B12.
      • Gastrite atrofica: una condizione in cui la mucosa dello stomaco si assottiglia e si infiamma, riducendo la produzione di fattore intrinseco.
      • Malattie intestinali: come la malattia di Crohn e la celiachia, che possono interferire con l’assorbimento della vitamina B12.
      • Interventi chirurgici: come la gastrectomia parziale o totale, che possono ridurre la produzione di fattore intrinseco.
      • Farmaci: alcuni farmaci, come gli inibitori della pompa protonica e la metformina, possono interferire con l’assorbimento della vitamina B12.
      • Dieta vegana o vegetariana: una dieta priva di alimenti di origine animale può portare a carenza di vitamina B12, a meno che non vengano assunti integratori specifici.

Altre cause  dell’anemia da carenza di acido folico sono:

      • Apporto alimentare inadeguato: una dieta povera di frutta, verdura e legumi può portare a carenza di acido folico.
      • Aumento del fabbisogno: durante la gravidanza e l’allattamento, il fabbisogno di acido folico aumenta.
      • Alcolismo: l’abuso di alcol può interferire con l’assorbimento e il metabolismo dell’acido folico.

Genetica:

Sebbene non esista una predisposizione genetica specifica per l’anemia megaloblastica, alcuni difetti genetici possono influenzare l’assorbimento o il metabolismo della vitamina B12 o dell’acido folico, aumentando il rischio di sviluppare la malattia.

Patogenesi

La carenza di vitamina B12 o di acido folico compromette la sintesi del DNA nelle cellule, in particolare nelle cellule a rapida proliferazione come quelle del midollo osseo. Ciò porta alla formazione di eritrociti anomali, di grandi dimensioni e con un nucleo immaturo. Questi eritrociti, chiamati megaloblasti, sono fragili e hanno una vita media più breve rispetto ai globuli rossi normali. La loro distruzione prematura, insieme alla ridotta produzione di eritrociti, causa anemia.

Manifestazioni cliniche

Le manifestazioni cliniche dell’anemia megaloblastica possono essere variabili e insidiose, spesso sovrapponendosi a quelle di altre forme di anemia. I sintomi più comuni includono:

      • Sintomi generali: stanchezza, debolezza, pallore, dispnea da sforzo, tachicardia.
      • Sintomi gastrointestinali: glossite (lingua infiammata e liscia), perdita di appetito, nausea, diarrea, dolore addominale.
      • Sintomi neurologici: parestesie (formicolio e intorpidimento degli arti), atassia (difficoltà di coordinazione dei movimenti), debolezza muscolare, disturbi della memoria e della concentrazione, depressione, demenza.

I sintomi neurologici sono più caratteristici della carenza di vitamina B12 e possono manifestarsi anche in assenza di anemia.

Procedimenti diagnostici

Metodi generali:

      • Anamnesi: raccolta di informazioni sulle abitudini alimentari, l’assunzione di farmaci, la presenza di malattie croniche e la familiarità per malattie ematologiche.
      • Esame obiettivo: valutazione del colorito cutaneo, della lingua e della presenza di eventuali segni neurologici.

Esami di laboratorio:

      • Esame emocromocitometrico: evidenzia la presenza di anemia macrocitica con un aumento del volume corpuscolare medio (MCV).
      • Striscio di sangue periferico: permette di osservare la presenza di macrociti e di altre anomalie morfologiche degli eritrociti.
      • Dosaggio della vitamina B12 e dell’acido folico: misura i livelli sierici di queste vitamine.
      • Test di Schilling: valuta l’assorbimento della vitamina B12.
      • Dosaggio degli anticorpi anti-fattore intrinseco e anti-cellule parietali gastriche: utile per la diagnosi di anemia perniciosa.
      • Biopsia del midollo osseo: in alcuni casi, può essere necessaria per confermare la diagnosi e escludere altre cause di anemia macrocitica.

Metodi strumentali:

      • Gastroscopia: può essere utile per valutare la presenza di gastrite atrofica o di altre lesioni gastriche che possono interferire con l’assorbimento della vitamina B12.

Prognosi

La prognosi dell’anemia megaloblastica è generalmente buona se la diagnosi è tempestiva e il trattamento è adeguato. I sintomi ematologici e neurologici possono regredire completamente con la correzione della carenza vitaminica. Tuttavia, in alcuni casi, i danni neurologici possono essere irreversibili se il trattamento viene iniziato tardivamente.

Cure e trattamenti

Il trattamento dell’anemia megaloblastica si basa sulla somministrazione della vitamina carente:

      • Carenza di vitamina B12: la vitamina B12 può essere somministrata per via intramuscolare o sottocutanea, inizialmente a dosi elevate e poi a dosi di mantenimento. In alcuni casi, può essere necessaria la somministrazione orale di vitamina B12 ad alte dosi o l’utilizzo di spray nasali.
      • Carenza di acido folico: l’acido folico viene somministrato per via orale, generalmente a dosi di 1-5 mg al giorno.

Altri trattamenti:

      • Trattamento della causa sottostante: se l’anemia megaloblastica è causata da una malattia o da una condizione specifica, è necessario trattare anche la causa sottostante.
      • Trasfusioni di sangue: in caso di anemia grave, possono essere necessarie trasfusioni di sangue.

Gestione della malattia:

      • Monitoraggio: è importante monitorare regolarmente i livelli ematici di vitamina B12 e acido folico, soprattutto nei pazienti a rischio di recidiva.
      • Educazione del paziente: è fondamentale educare il paziente sull’importanza di una dieta equilibrata e sull’eventuale necessità di assumere integratori vitaminici.

Farmaci specifici:

      • Idrossicobalamina: è la forma più comune di vitamina B12 utilizzata per il trattamento dell’anemia perniciosa.
      • Cianocobalamina: è un’altra forma di vitamina B12 che può essere utilizzata nel trattamento dell’anemia megaloblastica.
      • Acido folico: è disponibile in diverse formulazioni, tra cui compresse, capsule e soluzioni orali.

In conclusione, l’anemia da carenza di vitamina B12 o acido folico è una condizione ematologica curabile con una diagnosi tempestiva e un trattamento adeguato.

Definizione

L’anemia aplastica è una malattia rara ed eterogenea del midollo osseo, caratterizzata da pancitopenia – una riduzione di tutte e tre le linee cellulari del sangue: globuli rossi (che causano anemia), globuli bianchi (che causano leucopenia) e piastrine (che causano trombocitopenia). Questa è una condizione in cui il midollo osseo non riesce a produrre un numero sufficiente di cellule del sangue. Ciò è causato da un danno alle cellule staminali ematopoietiche, le cellule responsabili della produzione di tutte le cellule del sangue.

Epidemiologia

    • Incidenza: L’anemia aplastica è una malattia rara, con un’incidenza stimata di 2-7 casi per milione di persone all’anno nei paesi occidentali.
    • Distribuzione per sesso: L’incidenza è leggermente più alta nei maschi rispetto alle femmine.
    • Età di insorgenza: L’anemia aplastica può verificarsi a qualsiasi età, ma ci sono due picchi di incidenza: uno nell’adolescenza e nella giovane età adulta e un altro negli anziani.

Eziologia e Genetica

Nella maggior parte dei casi, la causa dell’anemia aplastica è idiopatica, ovvero sconosciuta. Tuttavia, sono stati identificati diversi fattori che possono contribuire allo sviluppo della malattia, tra cui:

      • Fattori ambientali: esposizione a radiazioni, benzene, pesticidi e alcuni farmaci (come il cloramfenicolo, gli antiinfiammatori non steroidei e gli antiepilettici).
      • Infezioni: alcune infezioni virali, come l’epatite, il virus di Epstein-Barr e il citomegalovirus, possono scatenare l’anemia aplastica.
      • Malattie autoimmuni: in alcuni casi, il sistema immunitario attacca erroneamente le cellule staminali del midollo osseo, causando anemia aplastica.
      • Predisposizione genetica: alcune mutazioni genetiche, come quelle nei geni che regolano la riparazione del DNA e l’apoptosi, possono aumentare il rischio di sviluppare anemia aplastica.

Patogenesi

La patogenesi dell’anemia aplastica è complessa e non completamente compresa. Si ritiene che la malattia sia causata da una combinazione di fattori, tra cui:

      • Danno diretto alle cellule staminali ematopoietiche: questo può essere causato da fattori ambientali, infezioni o malattie autoimmuni.
      • Alterazione del microambiente midollare: il microambiente midollare è l’ambiente in cui si trovano le cellule staminali ematopoietiche. Un’alterazione di questo ambiente può compromettere la funzione delle cellule staminali e contribuire allo sviluppo dell’anemia aplastica.
      • Disregolazione del sistema immunitario: in alcuni casi, il sistema immunitario attacca erroneamente le cellule staminali del midollo osseo, causando anemia aplastica.

Manifestazioni Cliniche

Le manifestazioni cliniche dell’anemia aplastica sono variabili e dipendono dalla gravità della pancitopenia. I sintomi più comuni includono:

      • Anemia: stanchezza, debolezza, pallore, dispnea, tachicardia.
      • Leucopenia: aumento del rischio di infezioni, febbre, mal di gola, ulcere della bocca.
      • Trombocitopenia: sanguinamento facile, lividi, petecchie, epistassi, gengivorragia.

In alcuni casi, l’anemia aplastica può manifestarsi con sintomi più gravi, come emorragie interne, infezioni gravi e insufficienza d’organo.

Procedimenti Diagnostici

La diagnosi di anemia aplastica si basa su una combinazione di:

      • Esami del sangue: emocromo completo, conta reticolocitaria, studio della morfologia delle cellule del sangue.
      • Aspirato midollare e biopsia: l’esame del midollo osseo è essenziale per confermare la diagnosi di anemia aplastica e per escludere altre cause di pancitopenia.
      • Test genetici: in alcuni casi, possono essere eseguiti test genetici per identificare mutazioni genetiche che possono predisporre allo sviluppo di anemia aplastica.

Prognosi

La prognosi dell’anemia aplastica varia a seconda della gravità della malattia, dell’età del paziente e della risposta al trattamento. In generale, la prognosi è peggiore nei pazienti anziani e in quelli con malattia grave. Tuttavia, con un trattamento adeguato, molti pazienti possono ottenere una remissione completa o parziale della malattia.

Cure e Trattamenti

Il trattamento dell’anemia aplastica dipende dalla gravità della malattia e dall’età del paziente. Le principali opzioni terapeutiche includono:

      • Trapianto di cellule staminali ematopoietiche: il trapianto di cellule staminali da un donatore compatibile è il trattamento di scelta per i pazienti giovani con anemia aplastica grave.
      • Immunosoppressione: la terapia immunosoppressiva, con farmaci come la ciclosporina e l’antitimocita globulina (ATG), è un’opzione per i pazienti che non sono candidabili al trapianto o che hanno una malattia meno grave.
      • Terapia di supporto: la terapia di supporto, che include trasfusioni di sangue, antibiotici e fattori di crescita ematopoietici, è importante per gestire i sintomi dell’anemia aplastica e prevenire le complicanze.
      • Nuovi farmaci: sono in fase di sviluppo nuovi farmaci per il trattamento dell’anemia aplastica, come gli agonisti del recettore della trombopoietina e gli inibitori del complemento.

Gestione della Malattia

La gestione dell’anemia aplastica richiede un approccio multidisciplinare, che coinvolge ematologi, infermieri, psicologi e altri professionisti sanitari. È importante che i pazienti siano seguiti regolarmente per monitorare la malattia e prevenire le complicanze. Inoltre, è fondamentale che i pazienti ricevano un supporto psicologico adeguato per affrontare la malattia e i suoi effetti sulla qualità della vita.

Informazioni Aggiuntive:

  • L’anemia aplastica può essere una malattia grave e debilitante, ma con un trattamento adeguato, molti pazienti possono ottenere una buona qualità di vita.

Definizione

L’anemia emolitica è un gruppo eterogeneo di disordini ematologici caratterizzati dalla distruzione prematura dei globuli rossi (eritrociti) e dalla conseguente riduzione della loro vita media (inferiore a 120 giorni). Questa distruzione accelerata, definita emolisi, può avvenire all’interno dei vasi sanguigni (emolisi intravascolare) o al di fuori di essi, principalmente nella milza e nel fegato (emolisi extravascolare).

Quando il midollo osseo non riesce a compensare la perdita di eritrociti con una produzione adeguata, si sviluppa l’anemia, con conseguente riduzione della capacità del sangue di trasportare ossigeno ai tessuti.

Epidemiologia

    • Incidenza: L’incidenza esatta dell’anemia emolitica è difficile da determinare a causa della sua eterogeneità e della variabilità geografica. Si stima che l’anemia emolitica autoimmune, una delle forme più comuni, abbia un’incidenza di circa 1-3 casi per 100.000 persone all’anno.
    • Distribuzione per sesso: Alcune forme di anemia emolitica mostrano una prevalenza in un sesso specifico. Ad esempio, l’anemia emolitica autoimmune è più comune nelle donne, mentre il deficit di glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PD) è più frequente negli uomini.
    • Età di insorgenza: L’anemia emolitica può manifestarsi a qualsiasi età, dall’infanzia all’età adulta. Alcune forme, come la sferocitosi ereditaria, sono congenite e si presentano fin dalla nascita, mentre altre, come l’anemia emolitica autoimmune, possono svilupparsi in qualsiasi momento della vita.

Eziologia e Genetica

Le cause dell’anemia emolitica sono molteplici e possono essere classificate in due grandi categorie:

      • Cause intrinseche (intraglobulari): Sono dovute a difetti intrinseci degli eritrociti, spesso di origine genetica, che li rendono più fragili e suscettibili all’emolisi. Alcuni esempi includono:
          • Difetti della membrana eritrocitaria: sferocitosi ereditaria, ellissocitosi ereditaria.
          • Enzimopatie: deficit di G6PD, deficit di piruvato chinasi.
          • Emoglobinopatie: talassemia, anemia falciforme.
      • Cause estrinseche (extraglobulari): Sono dovute a fattori esterni agli eritrociti che ne causano la distruzione. Alcuni esempi includono:
          • Cause immuni: anemia emolitica autoimmune, anemia emolitica alloimmune (ad esempio, malattia emolitica del neonato).
          • Cause meccaniche: protesi valvolari cardiache, microangiopatia trombotica.
          • Infezioni: malaria, babesiosi.
          • Farmaci: penicillina, chinidina.
          • Tossine: veleno di serpente, metalli pesanti.

Patogenesi

La patogenesi dell’anemia emolitica varia a seconda della causa sottostante. In generale, l’emolisi può essere causata da:

      • Alterazioni della membrana eritrocitaria: che la rendono più fragile e suscettibile alla rottura.
      • Danno ossidativo: che porta alla denaturazione dell’emoglobina e alla formazione di corpi di Heinz, che danneggiano la membrana eritrocitaria.
      • Attacco del sistema immunitario: gli anticorpi si legano agli antigeni sulla superficie degli eritrociti, marcandoli per la distruzione da parte dei macrofagi nella milza e nel fegato.
      • Distruzione meccanica: gli eritrociti vengono frammentati a causa di forze meccaniche anomale all’interno dei vasi sanguigni.

Manifestazioni Cliniche

Le manifestazioni cliniche dell’anemia emolitica sono variabili e dipendono dalla gravità dell’anemia, dalla velocità di insorgenza e dalla causa sottostante. I sintomi comuni includono:

      • Sintomi generali di anemia: pallore, astenia, dispnea da sforzo, tachicardia, cefalea, vertigini.
      • Ittero: colorazione giallastra della pelle e delle sclere dovuta all’accumulo di bilirubina, un prodotto di degradazione dell’emoglobina.
      • Splenomegalia: ingrossamento della milza, che svolge un ruolo importante nella distruzione degli eritrociti.
      • Colelitiasi: formazione di calcoli biliari a causa dell’aumento della bilirubina.
      • Crisi emolitica: improvviso peggioramento dell’anemia, con intensificazione dell’ittero e della splenomegalia, spesso accompagnato da febbre e dolore addominale.
      • Sintomi specifici: a seconda della causa sottostante, possono essere presenti altri sintomi, come ulcere alle gambe nel caso dell’anemia falciforme o urine scure al mattino nell’emoglobinuria parossistica notturna.

Procedimenti Diagnostici

La diagnosi di anemia emolitica si basa su una combinazione di:

    • Anamnesi ed esame obiettivo: raccolta dei sintomi e dei segni clinici, con particolare attenzione alla presenza di ittero, splenomegalia e altri segni di emolisi.
    • Esami di laboratorio:
        • Emocromo completo: mostra una riduzione dell’emoglobina, dell’ematocrito e del numero di eritrociti.
        • Striscio di sangue periferico: permette di osservare la morfologia degli eritrociti e identificare eventuali anomalie, come sferociti, ellissocit o schistociti.
        • Reticolociti: aumento dei reticolociti (giovani eritrociti) indica un’aumentata produzione midollare in risposta all’emolisi.
        • Bilirubina: aumento della bilirubina indiretta (non coniugata) è un segno di emolisi.
        • LDH: aumento della lattato deidrogenasi (LDH) è un altro indicatore di emolisi.
        • Aptoglobina: riduzione dell’aptoglobina, una proteina che lega l’emoglobina libera, è un segno di emolisi intravascolare.
        • Test di Coombs diretto e indiretto: per identificare la presenza di anticorpi diretti contro gli eritrociti (anemia emolitica autoimmune).
        • Elettroforesi dell’emoglobina: per identificare eventuali anomalie dell’emoglobina (talassemia, anemia falciforme).
        • Enzimi eritrocitari: per identificare eventuali deficit enzimatici (G6PD, piruvato chinasi).
    • Esami strumentali:
        • Ecografia addominale: per valutare le dimensioni della milza e del fegato e identificare eventuali calcoli biliari.

Prognosi

La prognosi dell’anemia emolitica varia a seconda della causa sottostante, della gravità dell’anemia e della risposta al trattamento. Alcune forme di anemia emolitica, come la sferocitosi ereditaria, hanno una prognosi generalmente buona, mentre altre, come l’anemia emolitica autoimmune grave, possono essere potenzialmente fatali.

Cure e Trattamenti

Il trattamento dell’anemia emolitica dipende dalla causa sottostante e dalla gravità dell’anemia. Le opzioni terapeutiche includono:

      • Trattamento della causa sottostante: se possibile, è fondamentale trattare la causa sottostante dell’emolisi. Ad esempio, nel caso dell’anemia emolitica autoimmune, si utilizzano farmaci immunosoppressori per ridurre la produzione di anticorpi.
      • Trasfusioni di sangue: in caso di anemia grave, possono essere necessarie trasfusioni di sangue per aumentare i livelli di emoglobina e migliorare l’ossigenazione dei tessuti.
      • Splenectomia: la rimozione chirurgica della milza può essere indicata in alcune forme di anemia emolitica, in particolare nella sferocitosi ereditaria e nell’anemia emolitica autoimmune refrattaria al trattamento farmacologico.
      • Farmaci:
          • Corticosteroidi: per ridurre l’infiammazione e la produzione di anticorpi nell’anemia emolitica autoimmune.
          • Immunosoppressori: come l’azatioprina e la ciclofosfamide, per sopprimere il sistema immunitario nell’anemia emolitica autoimmune.
          • Acido folico: per supportare la produzione di nuovi eritrociti.
          • Terapia chelante del ferro: per ridurre l’accumulo di ferro nei tessuti in pazienti che necessitano di frequenti trasfusioni di sangue.
      • Gestione delle complicanze: è importante gestire le complicanze dell’anemia emolitica, come la colelitiasi e le crisi emolitiche.

L’anemia falciforme (nota anche come drepanocitosi) è una malattia genetica del sangue che colpisce l’emoglobina, la proteina nei globuli rossi responsabile del trasporto dell’ossigeno in tutto il corpo. In questa condizione, una mutazione genetica causa la produzione di emoglobina anomala (emoglobina S) che, in condizioni di bassa ossigenazione, fa assumere ai globuli rossi una forma rigida a falce (da cui il nome). Questa forma anomala ostacola il flusso sanguigno nei piccoli vasi, causando una serie di complicanze.

Epidemiologia

    • Incidenza: L’anemia falciforme è più comune nelle persone di origine africana, mediterranea, mediorientale e indiana. Negli Stati Uniti, colpisce circa 100.000 persone, principalmente afroamericani. In Italia, si stimano circa 7.000 pazienti affetti.
    • Distribuzione per sesso: La malattia colpisce uomini e donne in egual misura.
    • Età di insorgenza: I sintomi di solito compaiono durante la prima infanzia, spesso intorno ai 5-6 mesi di età.

Eziologia e Genetica

L’anemia falciforme è causata da una mutazione nel gene che codifica per la catena beta dell’emoglobina. Questa mutazione porta alla sostituzione di un singolo aminoacido (acido glutammico con valina) nella catena proteica. La malattia viene ereditata in modo autosomico recessivo, il che significa che un individuo deve ereditare due copie del gene mutato (uno da ciascun genitore) per sviluppare la malattia. Gli individui che ereditano una sola copia del gene mutato sono portatori sani e di solito non presentano sintomi.

Patogenesi

L’emoglobina S, in condizioni di bassa ossigenazione, polimerizza formando fibre rigide che deformano i globuli rossi, facendoli assumere la caratteristica forma a falce. Questi globuli rossi rigidi e appiccicosi:

      • Ostruiscono i piccoli vasi sanguigni, causando dolore, danni agli organi e ictus.
      • Hanno una vita più breve rispetto ai globuli rossi normali, portando ad anemia cronica.

Manifestazioni Cliniche

Le manifestazioni cliniche dell’anemia falciforme sono variabili e possono includere:

      • Crisi dolorose: Sono il sintomo più comune e sono causate dall’ostruzione dei vasi sanguigni. Il dolore può essere localizzato (ossa, articolazioni, addome) o diffuso e può variare in intensità e durata.
      • Anemia cronica: La riduzione del numero di globuli rossi causa affaticamento, pallore, debolezza e mancanza di respiro.
      • Sindrome toracica acuta: È una grave complicanza caratterizzata da dolore toracico, febbre, tosse e difficoltà respiratorie. Può essere causata da infezioni, embolia polmonare o infarto polmonare.
      • Ictus: L’ostruzione dei vasi sanguigni cerebrali può causare ictus, con conseguenti deficit neurologici permanenti.
      • Danni agli organi: Nel tempo, l’anemia falciforme può danneggiare diversi organi, tra cui milza, reni, polmoni, fegato e cuore.
      • Infezioni: I pazienti con anemia falciforme sono più suscettibili alle infezioni, in particolare polmonite e meningite.
      • Ulcere alle gambe: Sono lesioni cutanee dolorose che guariscono lentamente.
      • Priapismo: È una erezione persistente e dolorosa che può causare danni permanenti al pene.
      • Calcoli biliari: La distruzione dei globuli rossi porta ad un aumento della bilirubina, che può causare la formazione di calcoli biliari.
      • Ritardo della crescita e dello sviluppo: Nei bambini, l’anemia falciforme può causare ritardo della crescita e dello sviluppo puberale.
      • Problemi oculari: Possono verificarsi retinopatia, cataratta e glaucoma.

Procedimenti Diagnostici

    • Esami del sangue:
        • Emocromo: Mostra anemia (basso numero di globuli rossi) e la presenza di globuli rossi a falce.
        • Elettroforesi dell’emoglobina: Identifica la presenza di emoglobina S.
        • Test di solubilità dell’emoglobina: È un test rapido per la diagnosi preliminare.
    • Test genetici: Analisi del DNA per identificare la mutazione specifica.
    • Ecografia: Può essere utilizzata per valutare il flusso sanguigno negli organi e identificare eventuali danni.
    • Risonanza magnetica (RM): Fornisce immagini dettagliate degli organi e dei tessuti.
    • Tomografia computerizzata (TC): Utile per valutare il torace e l’addome.

Prognosi

La prognosi dell’anemia falciforme è variabile e dipende dalla gravità della malattia e dalla presenza di complicanze. Negli ultimi decenni, i progressi nella diagnosi e nel trattamento hanno migliorato significativamente l’aspettativa di vita dei pazienti, che oggi possono raggiungere i 50-60 anni. Tuttavia, la malattia rimane una condizione cronica e potenzialmente grave.

Cure e Trattamenti

Non esiste una cura definitiva per l’anemia falciforme, ma diverse terapie possono aiutare a gestire i sintomi e prevenire le complicanze:

      • Farmaci:
          • Idrossiurea: Aumenta la produzione di emoglobina fetale, che interferisce con la polimerizzazione dell’emoglobina S.
          • Crizanlizumab: Anticorpo monoclonale che riduce la frequenza delle crisi dolorose.
          • Voxelotor: Aumenta l’affinità dell’emoglobina S per l’ossigeno, riducendo la formazione di globuli rossi a falce.
          • L-glutammina in polvere per uso orale: Riduce le complicanze acute.
          • Antibiotici: Per prevenire e trattare le infezioni.
          • Analgesici: Per controllare il dolore.
          • Trasfusioni di sangue: Per aumentare il numero di globuli rossi e migliorare l’ossigenazione dei tessuti.
      • Altri trattamenti:
          • Trapianto di midollo osseo: È l’unica cura potenziale, ma è associato a rischi significativi.
          • Terapia genica: È in fase di studio e potrebbe offrire una cura in futuro.
          • Ossigenoterapia: Per aumentare i livelli di ossigeno nel sangue.
          • Idratazione: Bere molti liquidi aiuta a prevenire la disidratazione e la formazione di globuli rossi a falce.
          • Vaccinazioni: Per prevenire le infezioni.
          • Sostegno psicologico: Per aiutare i pazienti e le loro famiglie a gestire la malattia.

Gestione della malattia

La gestione dell’anemia falciforme richiede un approccio multidisciplinare che coinvolge medici, infermieri, psicologi e altri operatori sanitari.

Definizione

Le talassemie sono un gruppo eterogeneo di malattie ereditarie del sangue caratterizzate da un difetto nella sintesi dell’emoglobina, la proteina responsabile del trasporto dell’ossigeno all’interno dei globuli rossi. Questo difetto porta ad una ridotta produzione di globuli rossi sani e ad una loro prematura distruzione, causando anemia di varia gravità.

Epidemiologia

    • Incidenza: Le talassemie sono tra le malattie genetiche più comuni al mondo, con una stima di 70.000 nuovi nati affetti ogni anno.
    • Distribuzione per sesso: Le talassemie sono ereditate in modo autosomico recessivo, il che significa che entrambi i genitori devono essere portatori del gene difettoso affinché il figlio sviluppi la malattia. Non vi è una prevalenza legata al sesso.
    • Età di insorgenza: L’età di insorgenza e la gravità dei sintomi dipendono dal tipo di talassemia. Le forme più gravi si manifestano in genere nei primi due anni di vita, mentre le forme più lievi possono essere diagnosticate anche in età adulta.

Eziologia e Genetica

Le talassemie sono causate da mutazioni nei geni che codificano per le catene globiniche dell’emoglobina. Esistono due tipi principali di talassemia:

      • Alfa-talassemia: Causate da mutazioni nei geni HBA1 e HBA2 sul cromosoma 16, che codificano per le catene alfa-globiniche.
      • Beta-talassemia: Causate da mutazioni nel gene HBB sul cromosoma 11, che codifica per la catena beta-globinica.

La gravità della malattia dipende dal numero di geni mutati:

      • Portatore sano: Una sola copia del gene mutato. Generalmente asintomatico.
      • Talassemia minor: Due copie del gene mutato, ma con una produzione di emoglobina ancora sufficiente. Sintomi lievi o assenti.
      • Talassemia intermedia: Tre copie del gene mutato. Anemia di moderata entità.
      • Talassemia major: Quattro copie del gene mutato. Anemia grave con necessità di trasfusioni regolari.

Patogenesi

La ridotta o assente produzione di una delle catene globiniche porta ad uno squilibrio nella sintesi dell’emoglobina. Questo squilibrio causa:

      • Danno ai globuli rossi: Le catene globiniche in eccesso precipitano all’interno dei globuli rossi, danneggiandoli e causandone la distruzione prematura (emolisi).
      • Inefficace eritropoiesi: Il midollo osseo tenta di compensare la perdita di globuli rossi, ma la produzione è inefficace a causa del difetto nella sintesi dell’emoglobina.
      • Anemia: La combinazione di emolisi e eritropoiesi inefficace porta ad anemia, che può essere di gravità variabile.

Manifestazioni Cliniche

Le manifestazioni cliniche delle talassemie sono molto variabili e dipendono dalla gravità della malattia.

      • Talassemia minor: Spesso asintomatica. Possibile lieve anemia, pallore, affaticamento.
      • Talassemia intermedia: Anemia di moderata entità, ittero, splenomegalia (ingrossamento della milza), deformità ossee (nei casi più gravi).
      • Talassemia major: Anemia grave con esordio nei primi anni di vita. Pallore, ittero, ritardo nella crescita, deformità ossee (cranio a spazzola, facies talassemica), splenomegalia, epatomegalia (ingrossamento del fegato), complicanze cardiache, endocrine e epatiche.

Procedimenti Diagnostici

    • Esami del sangue: Emocromo completo, striscio di sangue periferico, dosaggio dell’emoglobina fetale, elettroforesi dell’emoglobina.
    • Test genetici: Analisi del DNA per identificare le mutazioni specifiche responsabili della talassemia.
    • Diagnosi prenatale: Villocentesi o amniocentesi per identificare la presenza di talassemia nel feto.

Prognosi

La prognosi delle talassemie dipende dalla gravità della malattia e dalla disponibilità di trattamenti adeguati.

      • Talassemia minor: Aspettativa di vita normale.
      • Talassemia intermedia: Aspettativa di vita generalmente buona, ma possibile sviluppo di complicanze a lungo termine.
      • Talassemia major: Senza trattamento, la malattia è fatale nei primi anni di vita. Con le terapie attuali, l’aspettativa di vita è significativamente migliorata, ma possono persistere complicanze a lungo termine.

Cure e Trattamenti

    • Trasfusioni di sangue: Terapia fondamentale per la talassemia major. Permettono di correggere l’anemia e ridurre le complicanze.
    • Chelazione del ferro: Terapia per rimuovere l’eccesso di ferro accumulato a causa delle trasfusioni.
    • Trapianto di midollo osseo: Rappresenta la cura definitiva per la talassemia major.
    • Terapie farmacologiche: Farmaci per stimolare la produzione di emoglobina fetale (idrossiurea, butyrrato).
    • Gene therapy: Terapia innovativa in fase di sperimentazione che mira a correggere il difetto genetico alla base della talassemia.
    • Supporto psicologico: Fondamentale per i pazienti e le loro famiglie per affrontare la malattia e le sue complicanze.

Gestione della malattia

La gestione della talassemia richiede un approccio multidisciplinare che coinvolge ematologi, genetisti, cardiologi, endocrinologi, psicologi e altri specialisti.

2. DISORDINI DELLA COAGULAZIONE

Definizione

L’emofilia è una malattia ereditaria rara del sangue caratterizzata da un difetto nella coagulazione. Ciò significa che il sangue non si coagula correttamente, causando sanguinamenti prolungati e spontanei.

Epidemiologia

    • Incidenza: L’emofilia colpisce circa 1 persona su 5.000-10.000 nati maschi per l’emofilia A e 1 su 30.000-50.000 per l’emofilia B.
    • Distribuzione per sesso: L’emofilia è più comune nei maschi. Le femmine sono generalmente portatrici sane, ma possono manifestare sintomi lievi in alcuni casi.
    • Età di insorgenza: I sintomi dell’emofilia si manifestano solitamente nella prima infanzia, quando i bambini iniziano a muoversi e sono più soggetti a traumi.

Eziologia e Genetica

L’emofilia è causata da mutazioni nei geni che codificano per i fattori della coagulazione VIII (emofilia A) o IX (emofilia B). Questi geni si trovano sul cromosoma X, il che spiega la prevalenza della malattia nei maschi. Le femmine, avendo due cromosomi X, hanno una copia di riserva del gene.

      • Ereditarietà: L’emofilia si trasmette con un pattern recessivo legato al cromosoma X.
          • Una madre portatrice ha il 50% di probabilità di trasmettere il gene mutato a ogni figlio maschio (che sarà affetto da emofilia) e a ogni figlia femmina (che sarà portatrice).
          • Un padre affetto trasmetterà il gene mutato a tutte le figlie femmine (che saranno portatrici) ma a nessun figlio maschio.

Patogenesi

La mancanza o la deficienza del fattore VIII o IX impedisce la formazione del coagulo di fibrina, essenziale per arrestare il sanguinamento.

Manifestazioni Cliniche

La gravità dell’emofilia varia a seconda del livello di attività del fattore di coagulazione:

      • Emofilia lieve: Sanguinamenti prolungati dopo traumi o interventi chirurgici.
      • Emofilia moderata: Sanguinamenti spontanei occasionali, soprattutto a livello articolare (emartri) e muscolare (ematomi).
      • Emofilia grave: Sanguinamenti spontanei frequenti e gravi, che possono interessare qualsiasi organo o tessuto.

Ematomi: Raccolte di sangue nei tessuti molli, spesso causate da traumi minimi. Possono essere dolorosi e causare gonfiore.

Emartri: Sanguinamenti all’interno delle articolazioni, in particolare ginocchia, caviglie e gomiti. Causano dolore, gonfiore, rigidità e, a lungo termine, deformità articolari e artrite.

Emorragie del sistema nervoso centrale: Raramente, possono verificarsi emorragie cerebrali, potenzialmente fatali.

Ematuria: Presenza di sangue nelle urine, spesso senza causa apparente.

Sanguinamento gastrointestinale: Può manifestarsi con melena (feci nere) o ematemesi (vomito di sangue).

Procedimenti Diagnostici

    • Anamnesi e esame obiettivo: Valutazione della storia familiare e dei sintomi del paziente.
    • Esami del sangue:
        • Tempo di protrombina (PT): Valuta la via estrinseca della coagulazione.
        • Tempo di tromboplastina parziale attivata (aPTT): Valuta la via intrinseca della coagulazione, solitamente prolungato nell’emofilia.
        • Dosaggio dei fattori della coagulazione: Misura l’attività dei fattori VIII e IX per determinare il tipo e la gravità dell’emofilia.

Prognosi

La prognosi dell’emofilia è migliorata significativamente negli ultimi decenni grazie alla disponibilità di terapie efficaci. Con un trattamento adeguato, la maggior parte dei pazienti può condurre una vita normale. Tuttavia, le complicanze a lungo termine, come l’artropatia emofilica, possono influire sulla qualità della vita.

Cure e Trattamenti

    • Terapia sostitutiva: Somministrazione del fattore della coagulazione mancante (VIII o IX) per via endovenosa. Può essere effettuata “on demand” in caso di sanguinamento o in profilassi per prevenirli.
    • Agenti emostatici: Farmaci che favoriscono la coagulazione, come l’acido tranexamico e il desmopressina (utile solo nell’emofilia lieve).
    • Fisioterapia: Esercizi specifici per mantenere la mobilità articolare e prevenire le deformità.
    • Chirurgia: In caso di emartri gravi o danni articolari, può essere necessario un intervento chirurgico.
    • Terapia genica: Una nuova promettente terapia che mira a correggere il difetto genetico alla base dell’emofilia.

Gestione della malattia

    • Educazione del paziente: È fondamentale che i pazienti e le loro famiglie siano informati sulla malattia e sulle sue complicanze.
    • Prevenzione dei traumi: Evitare attività che comportano un alto rischio di sanguinamento.

La malattia di von Willebrand (VWD) è la più comune malattia emorragica ereditaria, caratterizzata da un difetto quantitativo o qualitativo del fattore di von Willebrand (VWF), una proteina multimerica essenziale per l’emostasi primaria. Il VWF media l’adesione delle piastrine al subendotelio vascolare nel sito di lesione e funge da carrier per il fattore VIII della coagulazione, proteggendolo dalla degradazione proteolitica.

Epidemiologia

    • Incidenza: La prevalenza stimata nella popolazione generale varia dall’1% al 3%, sebbene molti casi lievi possano non essere diagnosticati.
    • Distribuzione per sesso: La VWD colpisce entrambi i sessi, ma le donne possono manifestare sintomi più evidenti a causa delle mestruazioni e del parto.
    • Età di insorgenza: La malattia può manifestarsi a qualsiasi età, ma i sintomi sono spesso più evidenti durante l’infanzia o l’adolescenza.

Eziologia e Genetica

La VWD è causata da mutazioni nel gene VWF, localizzato sul cromosoma 12. La maggior parte dei casi è ereditata con modalità autosomica dominante, ma esistono anche forme recessive e acquisite.

Le mutazioni del gene VWF possono determinare:

      • Deficit quantitativo di VWF (tipo 1): È la forma più comune (70-80% dei casi) e si caratterizza per una riduzione dei livelli di VWF.
      • Deficit qualitativo di VWF (tipo 2): Comprende diverse varianti (2A, 2B, 2M, 2N) con alterazioni della struttura o della funzione del VWF.
      • Assenza completa di VWF (tipo 3): È la forma più rara e grave, caratterizzata da un’assenza quasi totale di VWF.

Patogenesi

La carenza o il difetto funzionale del VWF compromette l’adesione piastrinica e la formazione del tappo emostatico primario, determinando un sanguinamento prolungato. La riduzione dei livelli di FVIII, secondaria alla sua rapida degradazione in assenza di VWF, può contribuire al difetto emostatico, soprattutto nei pazienti con VWD di tipo 3.

Manifestazioni Cliniche

La VWD presenta un’ampia variabilità clinica, da forme asintomatiche a forme severe con emorragie spontanee. Le manifestazioni più comuni includono:

      • Emorragie mucocutanee:
          • Epistassi: Sanguinamento dal naso, spesso ricorrente e prolungato.
          • Gengivorragie: Sanguinamento delle gengive, spontaneo o dopo interventi odontoiatrici.
          • Ecchimosi: Facilità alla formazione di lividi (ematomi) anche dopo traumi minimi.
          • Porpora: Piccole emorragie cutanee puntiformi.
          • Menorragia: Mestruazioni abbondanti e prolungate.
      • Emorragie post-traumatiche o post-chirurgiche: Sanguinamento prolungato dopo interventi chirurgici, estrazioni dentarie o traumi.
      • Emorragie gastrointestinali: Sanguinamento del tratto gastrointestinale, che può manifestarsi con melena (feci nere) o ematemesi (vomito di sangue).
      • Ematuria: Presenza di sangue nelle urine.
      • Emartro: Emorragia all’interno di un’articolazione, rara nella VWD.

Procedimenti Diagnostici

La diagnosi di VWD si basa sull’anamnesi, sull’esame obiettivo e su specifici esami di laboratorio:

      • Anamnesi: Raccolta di informazioni su storia personale e familiare di sanguinamento.
      • Esame obiettivo: Valutazione della presenza di segni di sanguinamento (ecchimosi, petecchie).
      • Esami di laboratorio:
          • Emocromo: Valutazione della conta piastrinica e dei globuli rossi.
          • Tempo di sanguinamento: Misurazione del tempo necessario per arrestare un sanguinamento cutaneo standardizzato.
          • Tempo di protrombina (PT): Valutazione della via estrinseca della coagulazione.
          • Tempo di tromboplastina parziale attivata (aPTT): Valutazione della via intrinseca della coagulazione.
          • Dosaggio del VWF: Misurazione quantitativa del VWF.
          • Analisi dell’attività del VWF: Valutazione della capacità del VWF di legare il FVIII e di aggregare le piastrine.
          • Analisi multimerica del VWF: Studio della struttura del VWF.
          • Test di aggregazione piastrinica: Valutazione della funzionalità piastrinica.
          • Studio genetico: Ricerca di mutazioni nel gene VWF.

Prognosi

La prognosi della VWD è generalmente buona, soprattutto nelle forme lievi. La maggior parte dei pazienti può condurre una vita normale, con adeguate precauzioni e trattamenti. Le forme gravi, come la VWD di tipo 3, possono richiedere una gestione più complessa e presentare un rischio maggiore di complicanze emorragiche.

Cure e Trattamenti

Il trattamento della VWD dipende dalla gravità della malattia, dal tipo di sanguinamento e dalla risposta individuale al trattamento. Le opzioni terapeutiche includono:

      • Desmopressina (DDAVP): Analogo sintetico dell’ormone antidiuretico, stimola il rilascio di VWF dalle cellule endoteliali. È efficace nelle forme lievi di VWD (tipo 1) e in alcuni casi di tipo 2.
      • Concentrati di VWF: Preparati contenenti VWF e FVIII, utilizzati nelle forme moderate e gravi di VWD, in caso di sanguinamento o in preparazione a interventi chirurgici.
      • Acido tranexamico: Antifibrinolitico, inibisce la degradazione della fibrina e riduce il sanguinamento. Utile nel trattamento delle emorragie mucocutanee, come la menorragia.
      • Terapia ormonale: Utilizzata per controllare la menorragia nelle donne con VWD.
      • Misure generali:
          • Evitare farmaci che interferiscono con la funzione piastrinica (aspirina, FANS).
          • Adottare precauzioni per prevenire traumi e sanguinamenti.
          • In caso di sanguinamento, applicare pressione locale e ghiaccio.
          • Informare il medico o il dentista della presenza di VWD prima di sottoporsi a qualsiasi procedura medica o odontoiatrica.

La trombocitopenia è una condizione ematologica caratterizzata da una riduzione del numero di piastrine nel sangue periferico al di sotto del limite inferiore di normalità, che generalmente si attesta intorno a 150.000/µL. Le piastrine, anche conosciute come trombociti, sono piccoli frammenti cellulari anucleati prodotti dal midollo osseo e fondamentali per l’emostasi, ovvero il processo di arresto del sanguinamento.

Epidemiologia

L’incidenza della trombocitopenia varia a seconda della causa sottostante e della popolazione considerata. In generale, si stima che la trombocitopenia immune primaria (PTI), una delle forme più comuni, abbia un’incidenza annuale di circa 1-3 casi per 100.000 abitanti.

La distribuzione per sesso varia a seconda dell’età: nella fascia pediatrica la PTI colpisce in egual misura maschi e femmine, mentre negli adulti è più frequente nelle donne.

L’età di insorgenza è variabile: la PTI si può manifestare a qualsiasi età, con un picco di incidenza tra i 20 e i 50 anni.

Eziologia e genetica

Le cause della trombocitopenia sono molteplici e possono essere classificate in tre grandi categorie:

      • Diminuita produzione di piastrine: può essere dovuta a malattie del midollo osseo come leucemie, linfomi, aplasia midollare, mielodisplasia, carenze nutrizionali (vitamina B12, acido folico), infezioni virali (HIV, epatite C), farmaci (chemioterapici, antibiotici) e alcolismo.
      • Aumentata distruzione di piastrine: può essere causata da meccanismi immunitari (PTI, porpora trombotica trombocitopenica), infezioni (sepsi), farmaci (chinidina, eparina), ipersplenismo (ingrossamento della milza) e coagulazione intravascolare disseminata (CID).
      • Sequestro di piastrine: si verifica quando le piastrine vengono intrappolate in un organo, principalmente la milza, come avviene nella cirrosi epatica e in altre condizioni che causano splenomegalia.

In alcuni casi, la trombocitopenia può avere una base genetica, come nella sindrome di Bernard-Soulier e nella trombocitopenia amegacariocitica congenita.

Patogenesi

La patogenesi della trombocitopenia varia in base alla causa scatenante. Nella PTI, ad esempio, il sistema immunitario produce anticorpi diretti contro le proprie piastrine, che vengono quindi distrutte nella milza e nel fegato. Nella porpora trombotica trombocitopenica, invece, si verifica un’attivazione anomala delle piastrine con formazione di microtrombi che occludono i piccoli vasi sanguigni.

Manifestazioni cliniche

Le manifestazioni cliniche della trombocitopenia dipendono principalmente dalla gravità della riduzione delle piastrine. In generale, i sintomi più comuni sono:

      • Sanguinamento cutaneo: petecchie (piccole macchie rosse), porpora (macchie rosse più grandi), ecchimosi (lividi).
      • Sanguinamento mucoso: epistassi (sangue dal naso), gengivorragia (sanguinamento delle gengive), menorragia (mestruazioni abbondanti), ematuria (sangue nelle urine), melena (feci nere).
      • Sanguinamento interno: emorragia gastrointestinale, emorragia cerebrale (nei casi più gravi).

Nei casi di trombocitopenia lieve, i sintomi possono essere assenti o limitati a sanguinamenti cutanei minori. Nei casi più gravi, invece, si possono verificare emorragie importanti che mettono a rischio la vita del paziente.

Procedimenti diagnostici

La diagnosi di trombocitopenia si basa su:

      • Esame emocromocitometrico: permette di quantificare il numero di piastrine nel sangue.
      • Striscio di sangue periferico: permette di valutare la morfologia delle piastrine e di escludere altre cause di sanguinamento.
      • Aspirato midollare: può essere necessario per valutare la produzione di piastrine nel midollo osseo.
      • Test di funzionalità piastrinica: permette di valutare la capacità delle piastrine di aggregarsi e di formare un coagulo.
      • Test sierologici: per la ricerca di anticorpi antipiastrinici nella PTI.
      • Studio della coagulazione: per escludere altre malattie della coagulazione.

Prognosi

La prognosi della trombocitopenia dipende dalla causa sottostante, dalla gravità della riduzione delle piastrine e dalla presenza di eventuali complicanze. Nella PTI, la maggior parte dei pazienti ha una buona prognosi con una remissione spontanea o indotta dal trattamento. Nelle forme secondarie a malattie del midollo osseo, la prognosi è più variabile e dipende dalla malattia di base.

Cure e trattamenti

Il trattamento della trombocitopenia varia in base alla causa e alla gravità della condizione. Le opzioni terapeutiche includono:

      • Terapia farmacologica: corticosteroidi, immunoglobuline, farmaci immunosoppressori, agonisti del recettore della trombopoietina (TPO).
      • Splenectomia: rimozione chirurgica della milza, indicata in alcuni casi di PTI refrattaria al trattamento farmacologico.
      • Trasfusione di piastrine: indicata nei casi di sanguinamento grave o in previsione di interventi chirurgici.
      • Gestione delle complicanze: trattamento delle emorragie, prevenzione delle infezioni.

Gestione della malattia

La gestione della trombocitopenia prevede anche misure non farmacologiche, come:

      • Evitare attività che possono causare traumi: sport di contatto, lavori manuali pesanti.
      • Utilizzare uno spazzolino da denti a setole morbide.
      • Evitare l’uso di farmaci che possono interferire con la funzione piastrinica: aspirina, farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS).
      • Monitorare regolarmente la conta piastrinica.

Definizione

La trombosi è una condizione in cui si forma un coagulo di sangue (trombo) all’interno di un vaso sanguigno, ostruendo il flusso ematico. In ematologia, la trombosi è un argomento di grande rilevanza, in quanto può portare a gravi complicanze, come embolia polmonare, ictus e infarto.

Epidemiologia

    • Incidenza: La trombosi venosa colpisce circa 1-2 persone su 1000 ogni anno. La trombosi arteriosa è meno frequente, ma la sua incidenza aumenta con l’età.
    • Distribuzione per sesso: La trombosi venosa è leggermente più comune nelle donne, mentre la trombosi arteriosa è più comune negli uomini.
    • Età di insorgenza: La trombosi può verificarsi a qualsiasi età, ma il rischio aumenta significativamente con l’età, soprattutto dopo i 60 anni.

Eziologia e Genetica

La trombosi è causata da una combinazione di fattori di rischio, tra cui:

      • Fattori di rischio acquisiti:

          • Immobilizzazione prolungata (ad esempio, dopo un intervento chirurgico o un viaggio aereo lungo)
          • Traumi
          • Obesità
          • Fumo
          • Gravidanza e puerperio
          • Uso di contraccettivi orali o terapia ormonale sostitutiva
          • Cancro
          • Malattie infiammatorie croniche
          • Precedenti episodi di trombosi
      • Fattori di rischio genetici:

          • Mutazioni del fattore V Leiden
          • Mutazioni del gene della protrombina
          • Deficienza di antitrombina, proteina C o proteina S

Patogenesi

La formazione di un trombo è un processo complesso che coinvolge l’interazione tra la parete del vaso sanguigno, le piastrine e i fattori della coagulazione. La triade di Virchow descrive i tre principali fattori che contribuiscono alla trombosi:

      1. Lesione endoteliale: Danno alla parete del vaso sanguigno, che espone il tessuto sottoendoteliale e attiva le piastrine.
      2. Stasi venosa o alterazione del flusso sanguigno: Rallentamento del flusso sanguigno, che favorisce l’accumulo di fattori della coagulazione.
      3. Ipercoagulabilità: Aumento della tendenza del sangue a coagulare, a causa di fattori genetici o acquisiti.

Manifestazioni Cliniche

Le manifestazioni cliniche della trombosi dipendono dalla sede del trombo e dall’entità dell’ostruzione del flusso sanguigno.

      • Trombosi venosa profonda (TVP):
          • Dolore
          • Gonfiore
          • Rossore
          • Calore
          • Sensibilità al tatto
          • Dilatazione delle vene superficiali
      • Embolia polmonare (EP):
          • Dolore toracico improvviso
          • Dispnea (difficoltà respiratoria)
          • Tachicardia (aumento della frequenza cardiaca)
          • Tosse (con o senza sangue)
          • Sincope (svenimento)
      • Trombosi arteriosa:
          • Dolore improvviso e intenso
          • Pallore
          • Freddezza
          • Assenza di polso
          • Parestesie (formicolio)
          • Paralisi

Procedimenti Diagnostici

    • Metodi generali: Anamnesi ed esame obiettivo.
    • Metodi strumentali:
        • Ecografia Doppler
        • Angiografia (venografia o arteriografia)
        • Tomografia computerizzata (TC)
        • Risonanza magnetica (RM)
        • Scintigrafia polmonare (per la diagnosi di embolia polmonare)
    • Esami di laboratorio:
        • D-dimero
        • Emocromo completo
        • Test di coagulazione (PT, PTT, INR)
        • Test genetici per la trombofilia

Prognosi

La prognosi della trombosi dipende dalla sede del trombo, dall’entità dell’ostruzione del flusso sanguigno e dalla presenza di eventuali complicanze. La trombosi venosa profonda e l’embolia polmonare possono essere fatali se non trattate tempestivamente. La trombosi arteriosa può causare danni permanenti ai tessuti a valle dell’ostruzione.

Cure e Trattamenti

    • Farmaci:
        • Anticoagulanti (eparina, warfarin, nuovi anticoagulanti orali)
        • Trombolitici (per la dissoluzione del trombo)
    • Altri trattamenti:
        • Compressione elastica
        • Intervento chirurgico (trombectomia, posizionamento di filtri cavali)
    • Gestione della malattia:
        • Modifica dello stile di vita (perdita di peso, esercizio fisico regolare, cessazione del fumo)
        • Prevenzione delle recidive (terapia anticoagulante a lungo termine)

3. TUMORI DEL SANGUE

Le leucemie sono un gruppo eterogeneo di neoplasie ematologiche caratterizzate dalla proliferazione incontrollata di cellule ematopoietiche immature (blasti) nel midollo osseo e nel sangue periferico. Queste cellule, non essendo completamente differenziate, non sono in grado di svolgere le normali funzioni dei leucociti (globuli bianchi), compromettendo la produzione delle altre cellule del sangue (eritrociti e piastrine).

Epidemiologia

    • Incidenza: Le leucemie rappresentano circa il 3% di tutti i tumori. L’incidenza varia a seconda del tipo di leucemia, dell’età e dell’area geografica.
    • Distribuzione per sesso: In generale, le leucemie sono leggermente più frequenti negli uomini che nelle donne.
    • Età di insorgenza: L’incidenza delle leucemie varia con l’età. Alcuni tipi, come la leucemia linfoblastica acuta (LLA), sono più comuni nei bambini, mentre altri, come la leucemia mieloide cronica (LMC), sono più frequenti negli adulti.

Eziologia e Genetica

Le cause delle leucemie sono multifattoriali e spesso non completamente comprese. Alcuni fattori di rischio noti includono:

      • Fattori genetici: Alcune anomalie cromosomiche, come la traslocazione t(9;22) nella LMC o la trisomia 21 nella LLA, sono fortemente associate allo sviluppo di leucemie.
      • Esposizione a radiazioni ionizzanti: L’esposizione a dosi elevate di radiazioni, come quelle utilizzate in radioterapia o in seguito a incidenti nucleari, aumenta il rischio di leucemia.
      • Esposizione a sostanze chimiche: L’esposizione a benzene, alcuni pesticidi e altri agenti chimici è stata associata a un aumentato rischio di leucemia.
      • Infezioni virali: Alcuni virus, come il virus Epstein-Barr (EBV) e il virus della leucemia a cellule T umane di tipo 1 (HTLV-1), sono stati implicati nello sviluppo di alcuni tipi di leucemia.
      • Fattori ereditari: Alcune sindromi genetiche rare, come la sindrome di Down e l’anemia di Fanconi, aumentano il rischio di leucemia.

Patogenesi

La patogenesi delle leucemie è complessa e coinvolge alterazioni genetiche e molecolari che portano alla proliferazione incontrollata dei blasti. Queste cellule immature si accumulano nel midollo osseo, interferendo con la normale emopoiesi e infiltrando altri organi e tessuti.

Manifestazioni Cliniche

Le manifestazioni cliniche delle leucemie sono variabili e dipendono dal tipo di leucemia, dall’età del paziente e dalla presenza di eventuali complicanze. I sintomi più comuni includono:

      • Sintomi generali: Stanchezza, debolezza, febbre, perdita di peso, sudorazione notturna.
      • Sintomi da insufficienza midollare: Anemia (pallore, affaticamento, dispnea), neutropenia (infezioni ricorrenti), piastrinopenia (sanguinamento, ecchimosi).
      • Sintomi da infiltrazione: Ingrossamento dei linfonodi, splenomegalia, epatomegalia, dolore osseo, infiltrazione del sistema nervoso centrale (cefalea, vomito, convulsioni).

Procedimenti Diagnostici

La diagnosi di leucemia si basa su una serie di esami, tra cui:

      • Esame emocromocitometrico: Permette di valutare il numero e le caratteristiche delle cellule del sangue.
      • Striscio di sangue periferico: Esame microscopico del sangue per identificare la presenza di blasti.
      • Aspirato midollare e biopsia osteomidollare: Prelievo di midollo osseo per l’analisi citologica e istologica.
      • Citometria a flusso: Tecnica che permette di identificare e quantificare le diverse popolazioni cellulari nel sangue e nel midollo osseo.
      • Analisi citogenetica e molecolare: Per identificare eventuali anomalie cromosomiche e mutazioni genetiche.

Prognosi

La prognosi delle leucemie dipende da diversi fattori, tra cui il tipo di leucemia, l’età del paziente, lo stadio della malattia al momento della diagnosi e la risposta al trattamento. Le leucemie acute hanno generalmente una prognosi peggiore rispetto alle leucemie croniche.

Cure e Trattamenti

Il trattamento delle leucemie dipende dal tipo di leucemia, dallo stadio della malattia e dalle condizioni generali del paziente. Le principali opzioni terapeutiche includono:

      • Chemioterapia: Utilizzo di farmaci citotossici per distruggere le cellule leucemiche.
      • Terapia mirata: Utilizzo di farmaci che agiscono specificamente sulle cellule leucemiche, interferendo con i meccanismi molecolari che ne regolano la crescita e la sopravvivenza.
      • Immunoterapia: Stimolazione del sistema immunitario per riconoscere e distruggere le cellule leucemiche.
      • Trapianto di cellule staminali ematopoietiche: Sostituzione del midollo osseo malato con cellule staminali sane provenienti da un donatore.
      • Radioterapia: Utilizzo di radiazioni ionizzanti per distruggere le cellule leucemiche.
      • Supporto trasfusionale: Trasfusioni di sangue e piastrine per correggere l’anemia e la piastrinopenia.

I linfomi sono un gruppo eterogeneo di neoplasie che originano dalla proliferazione incontrollata dei linfociti, un tipo di globuli bianchi che svolgono un ruolo fondamentale nel sistema immunitario. Queste cellule, normalmente deputate alla difesa dell’organismo da infezioni e agenti estranei, nei linfomi subiscono una trasformazione maligna che ne altera il comportamento e la funzione.

I linfociti si trovano principalmente nei linfonodi, ma anche in altri organi linfoidi come la milza, il timo, le tonsille e il midollo osseo. Di conseguenza, i linfomi possono insorgere in qualsiasi parte del corpo dove sono presenti questi tessuti.

Epidemiologia

    • Incidenza: I linfomi rappresentano uno dei tumori più frequenti, con un’incidenza in costante aumento negli ultimi decenni. In Italia, si stimano circa 15.000 nuovi casi ogni anno.
    • Distribuzione per sesso: Alcuni tipi di linfoma sono più comuni negli uomini, mentre altri colpiscono maggiormente le donne. In generale, l’incidenza è leggermente superiore nel sesso maschile.
    • Età di insorgenza: I linfomi possono manifestarsi a qualsiasi età, ma sono più frequenti negli adulti, con un picco di incidenza tra i 60 e i 70 anni. Alcuni tipi di linfoma, come il linfoma di Hodgkin, sono più comuni nei giovani adulti e negli adolescenti.

Eziologia e Genetica

Le cause esatte dei linfomi sono ancora in gran parte sconosciute, ma diversi fattori di rischio sono stati identificati:

      • Fattori genetici: Alcune mutazioni genetiche ereditarie o acquisite possono predisporre allo sviluppo di linfomi.
      • Infezioni virali: Alcuni virus, come il virus di Epstein-Barr (EBV), il virus dell’immunodeficienza umana (HIV) e il virus dell’epatite C (HCV), sono associati ad un aumentato rischio di specifici tipi di linfoma.
      • Immunodeficienza: Le persone con un sistema immunitario compromesso, come i pazienti trapiantati o affetti da HIV, hanno un rischio maggiore di sviluppare linfomi.
      • Esposizione a radiazioni e sostanze chimiche: L’esposizione a radiazioni ionizzanti e a certe sostanze chimiche, come pesticidi e solventi, può aumentare il rischio di linfoma.

Patogenesi

La patogenesi dei linfomi è complessa e varia a seconda del tipo specifico di linfoma. In generale, la trasformazione maligna dei linfociti è causata da alterazioni genetiche che compromettono i meccanismi di controllo della crescita e della proliferazione cellulare. Queste alterazioni possono portare ad una proliferazione incontrollata dei linfociti, che si accumulano nei linfonodi e in altri organi, formando masse tumorali.

Manifestazioni Cliniche

Le manifestazioni cliniche dei linfomi sono variabili e dipendono dal tipo di linfoma, dalla sua localizzazione e dallo stadio della malattia. I sintomi più comuni includono:

      • Linfonodi ingrossati: I linfonodi ingrossati, in particolare a livello del collo, delle ascelle e dell’inguine, sono spesso il primo segno di linfoma. Questi linfonodi sono generalmente indolori, ma possono diventare dolenti se crescono rapidamente o comprimono strutture vicine.
      • Sintomi sistemici: Febbre, sudorazione notturna, perdita di peso inspiegabile, affaticamento e prurito sono sintomi sistemici che possono accompagnare i linfomi.
      • Sintomi specifici d’organo: A seconda della localizzazione del linfoma, possono manifestarsi sintomi specifici d’organo, come tosse, difficoltà respiratorie (linfomi polmonari), dolore addominale, nausea, vomito (linfomi gastrointestinali), ingrossamento del fegato o della milza.

Procedimenti Diagnostici

La diagnosi di linfoma si basa su una serie di esami e procedure:

      • Esame obiettivo e anamnesi: Il medico raccoglie informazioni sulla storia clinica del paziente e esegue un esame fisico per valutare la presenza di linfonodi ingrossati o altri segni di malattia.
      • Esami del sangue: Gli esami del sangue, come l’emocromo e la biochimica, possono fornire informazioni utili sullo stato di salute generale del paziente e evidenziare eventuali anomalie.
      • Biopsia: La biopsia è l’esame diagnostico più importante per la diagnosi di linfoma. Consiste nel prelievo di un campione di tessuto linfonodale o di altro tessuto sospetto, che viene poi analizzato al microscopio per confermare la presenza di cellule linfomatose.
      • Esami di imaging: Gli esami di imaging, come la tomografia computerizzata (TC), la risonanza magnetica (RM) e la PET (tomografia a emissione di positroni), permettono di valutare l’estensione della malattia e la presenza di eventuali masse tumorali in altre parti del corpo.
      • Biopsia del midollo osseo: La biopsia del midollo osseo può essere necessaria per valutare il coinvolgimento del midollo osseo nella malattia.

Prognosi

La prognosi dei linfomi dipende da diversi fattori, tra cui il tipo di linfoma, lo stadio della malattia, l’età del paziente e lo stato di salute generale. Negli ultimi anni, grazie ai progressi nella diagnosi e nel trattamento, la prognosi dei linfomi è notevolmente migliorata. Molti pazienti possono ottenere una remissione completa della malattia e una lunga sopravvivenza.

Cure e Trattamenti

Il trattamento dei linfomi dipende dal tipo di linfoma, dallo stadio della malattia e dalle condizioni generali del paziente. Le principali opzioni terapeutiche includono:

      • Chemioterapia: La chemioterapia è il trattamento più comune per i linfomi. Utilizza farmaci antitumorali per distruggere le cellule linfomatose.
      • Radioterapia: La radioterapia utilizza radiazioni ad alta energia per distruggere le cellule tumorali.
      • Immunoterapia: L’immunoterapia stimola il sistema immunitario del paziente a combattere il linfoma.
      • Trapianto di cellule staminali: Il trapianto di cellule staminali può essere utilizzato in alcuni casi di linfoma, in particolare nei pazienti che non rispondono ad altri trattamenti.
      • Terapie mirate: Le terapie mirate sono farmaci che agiscono specificamente su bersagli molecolari presenti sulle cellule linfomatose.

Gestione della Malattia

La gestione del linfoma include non solo il trattamento della malattia, ma anche il controllo dei sintomi, il supporto psicologico e il follow-up a lungo termine.

Definizione

Il mieloma multiplo (MM), anche noto come malattia di Kahler-Bozzolo, è un tumore ematico maligno che origina da una proliferazione incontrollata delle plasmacellule. Le plasmacellule sono cellule del sistema immunitario che producono anticorpi. Nel mieloma multiplo, una plasmacellula anomala si moltiplica in modo incontrollato, producendo un clone di cellule identiche che si accumulano nel midollo osseo, interferendo con la produzione delle cellule del sangue normali.

Epidemiologia

    • Incidenza: Il mieloma multiplo è una malattia relativamente rara. In Italia, l’incidenza è di circa 6 nuovi casi per 100.000 persone all’anno.
    • Distribuzione per sesso: Colpisce leggermente più gli uomini che le donne.
    • Età di insorgenza: L’età media alla diagnosi è di circa 70 anni, ed è raro in persone di età inferiore ai 40 anni.

Eziologia e Genetica

La causa esatta del mieloma multiplo è sconosciuta. Tuttavia, alcuni fattori di rischio sono stati identificati, tra cui:

      • Età avanzata: Il rischio aumenta con l’età.
      • Esposizione a radiazioni: L’esposizione a radiazioni ionizzanti aumenta il rischio.
      • Obesità: L’obesità è un fattore di rischio per molti tipi di cancro, incluso il mieloma multiplo.
      • Storia familiare: Avere un parente di primo grado con mieloma multiplo aumenta leggermente il rischio.
      • Gammopatia monoclonale di incerto significato (MGUS): La MGUS è una condizione in cui una proteina anomala, chiamata proteina M, viene prodotta dalle plasmacellule. La maggior parte delle persone con MGUS non sviluppa mieloma multiplo, ma è una condizione precancerosa che richiede monitoraggio.

A livello genetico, il mieloma multiplo è caratterizzato da anomalie cromosomiche complesse, tra cui delezioni, traslocazioni e amplificazioni. Queste anomalie possono attivare oncogeni o inattivare geni oncosoppressori, contribuendo alla proliferazione incontrollata delle plasmacellule.

Patogenesi

Le plasmacellule maligne si accumulano nel midollo osseo, dove interferiscono con la produzione di cellule del sangue normali. Questo può portare a:

      • Anemia: Riduzione dei globuli rossi, che causa stanchezza, debolezza e mancanza di respiro.
      • Neutropenia: Riduzione dei globuli bianchi, che aumenta il rischio di infezioni.
      • Trombocitopenia: Riduzione delle piastrine, che aumenta il rischio di sanguinamento.

Le plasmacellule maligne producono anche grandi quantità di una proteina anomala chiamata proteina M (componente monoclonale), che può causare danni agli organi, tra cui:

      • Danno renale: La proteina M può danneggiare i reni, causando insufficienza renale.
      • Ipercalcemia: Le cellule del mieloma possono rilasciare sostanze che aumentano i livelli di calcio nel sangue, causando nausea, vomito, stitichezza e confusione.
      • Lesioni ossee: Le cellule del mieloma possono danneggiare le ossa, causando dolore osseo, fratture e ipercalcemia.
      • Amiloidosi: La proteina M può depositarsi in diversi organi e tessuti, causando amiloidosi, una condizione che può danneggiare il cuore, i reni, il fegato e il sistema nervoso.
      • Neuropatia periferica: La proteina M può danneggiare i nervi periferici, causando intorpidimento, formicolio e dolore alle mani e ai piedi.

Manifestazioni Cliniche

I sintomi del mieloma multiplo possono variare da persona a persona. Alcuni pazienti possono essere asintomatici nelle fasi iniziali della malattia, mentre altri possono presentare sintomi significativi. I sintomi più comuni includono:

      • Dolore osseo: Il dolore osseo, spesso alla schiena, alle costole o alle anche, è il sintomo più comune del mieloma multiplo.
      • Anemia: La stanchezza, la debolezza e la mancanza di respiro sono sintomi comuni dell’anemia.
      • Infezioni ricorrenti: La neutropenia aumenta il rischio di infezioni.
      • Insufficienza renale: I sintomi dell’insufficienza renale includono gonfiore alle gambe, affaticamento e nausea.
      • Ipercalcemia: I sintomi dell’ipercalcemia includono nausea, vomito, stitichezza e confusione.

Procedimenti Diagnostici

La diagnosi di mieloma multiplo si basa su una combinazione di esami, tra cui:

      • Esami del sangue: Emocromo completo, biochimica del sangue (creatinina, calcio, albumina), elettroforesi delle proteine sieriche e delle urine, immunofissazione.
      • Esame delle urine: Ricerca della proteina di Bence Jones nelle urine.
      • Aspirato midollare e biopsia ossea: Permette di analizzare le cellule del midollo osseo e confermare la diagnosi.
      • Radiografie: Per identificare eventuali lesioni ossee.
      • TAC, PET e risonanza magnetica: Per valutare l’estensione della malattia.

Prognosi

La prognosi del mieloma multiplo varia a seconda di diversi fattori, tra cui l’età del paziente, lo stadio della malattia, la presenza di anomalie cromosomiche e la risposta al trattamento. Negli ultimi anni, la prognosi è migliorata significativamente grazie all’introduzione di nuovi farmaci e terapie.

Cure e Trattamenti

Il trattamento del mieloma multiplo dipende da diversi fattori, tra cui l’età del paziente, lo stadio della malattia e la presenza di sintomi. Le opzioni di trattamento includono:

      • Chemioterapia: La chemioterapia utilizza farmaci per uccidere le cellule tumorali.
      • Terapia mirata: I farmaci a bersaglio molecolare agiscono su specifiche molecole coinvolte nella crescita delle cellule tumorali.
      • Immunoterapia: L’immunoterapia stimola il sistema immunitario a combattere le cellule tumorali.
      • Trapianto di cellule staminali: Il trapianto di cellule staminali può essere utilizzato per sostituire le cellule del midollo osseo danneggiate dalla malattia o dal trattamento.
      • Radioterapia: La radioterapia utilizza radiazioni ad alta energia per uccidere le cellule tumorali.
      • Bifosfonati: I bifosfonati sono farmaci che aiutano a prevenire le fratture ossee.
      • Terapia di supporto: La terapia di supporto mira a gestire i sintomi e le complicanze della malattia, come l’anemia, l’insufficienza renale e il dolore osseo.

Farmaci specifici:

      • Inibitori del proteasoma: bortezomib, carfilzomib, ixazomib.
      • Immunomodulatori: talidomide, lenalidomide, pomalidomide.
      • Anticorpi monoclonali: daratumumab, elotuzumab, isatuximab.

Altri trattamenti:

      • Plasmaferesi: La plasmaferesi è una procedura che rimuove la proteina M dal sangue.
      • Chirurgia: La chirurgia può essere utilizzata per stabilizzare le fratture ossee o per rimuovere i plasmocitomi.

4. DISORDINI DEL MIDOLLO OSSEO

Le Sindromi Mielodisplastiche (SMD) sono un gruppo eterogeneo di malattie del sangue caratterizzate da un’emopoiesi inefficace, ovvero un difetto nella produzione di cellule del sangue mature e funzionali nel midollo osseo. Questo difetto deriva da una proliferazione clonale di cellule staminali ematopoietiche anomale. In sostanza, le cellule del sangue non maturano correttamente e muoiono nel midollo osseo o subito dopo essere entrate nel circolo sanguigno, causando una carenza di uno o più tipi di cellule del sangue: globuli rossi (anemia), globuli bianchi (neutropenia) e piastrine (trombocitopenia).

Epidemiologia

    • Incidenza: Le SMD sono relativamente rare, con un’incidenza di circa 4-5 casi per 100.000 persone all’anno.
    • Distribuzione per sesso: Le SMD sono leggermente più comuni negli uomini che nelle donne.
    • Età di insorgenza: L’età media di insorgenza è di 70 anni, con una maggiore frequenza negli anziani. Tuttavia, le SMD possono colpire anche persone più giovani, seppur raramente.

Eziologia e Genetica

Nella maggior parte dei casi, la causa delle SMD è sconosciuta (idiopatica). Tuttavia, alcuni fattori di rischio sono stati identificati:

      • Esposizione a radiazioni ionizzanti o a sostanze chimiche come il benzene: Queste esposizioni possono danneggiare il DNA delle cellule staminali ematopoietiche, aumentando il rischio di sviluppare SMD.
      • Terapia con agenti alchilanti o inibitori della topoisomerasi II: Questi farmaci chemioterapici, utilizzati per il trattamento di tumori, possono aumentare il rischio di SMD come effetto collaterale tardivo.
      • Predisposizione genetica: Alcune anomalie genetiche ereditarie, come l’anemia di Fanconi, la sindrome di Down e la neurofibromatosi di tipo 1, aumentano il rischio di sviluppare SMD.

Patogenesi

Le SMD sono causate da mutazioni acquisite nel DNA delle cellule staminali ematopoietiche. Queste mutazioni possono interessare diversi geni coinvolti nella regolazione della crescita, della differenziazione e della morte cellulare. Le mutazioni più frequenti riguardano geni come TP53, TET2, ASXL1, SF3B1 e SRSF2.

Le cellule staminali mutate acquisiscono un vantaggio proliferativo rispetto alle cellule normali, portando alla loro espansione clonale nel midollo osseo. Tuttavia, queste cellule sono anche caratterizzate da un’aumentata apoptosi (morte cellulare programmata) e da una ridotta capacità di differenziarsi in cellule mature e funzionali. Questo processo porta all’emopoiesi inefficace e alla citopenia periferica, ovvero alla carenza di cellule del sangue nel circolo sanguigno.

Manifestazioni Cliniche

Le manifestazioni cliniche delle SMD sono variabili e dipendono dal tipo di cellula del sangue prevalentemente colpita e dalla gravità della citopenia.

      • Anemia: È la manifestazione più comune, causata dalla carenza di globuli rossi. I sintomi includono affaticamento, debolezza, pallore, dispnea (difficoltà respiratoria) e tachicardia (aumento della frequenza cardiaca).
      • Neutropenia: La carenza di globuli bianchi, in particolare di neutrofili, aumenta il rischio di infezioni. I sintomi di infezione possono includere febbre, brividi, tosse, mal di gola e dolore addominale.
      • Trombocitopenia: La carenza di piastrine aumenta il rischio di sanguinamento. I sintomi includono ecchimosi (lividi) facili, sanguinamento dal naso o dalle gengive, e menorragia (mestruazioni abbondanti) nelle donne.

In alcuni casi, le SMD possono essere asintomatiche e vengono diagnosticate incidentalmente durante esami del sangue di routine.

Procedimenti Diagnostici

La diagnosi di SMD si basa su una combinazione di:

      • Esame emocromocitometrico completo (emocromo): Questo esame del sangue fornisce informazioni sul numero di globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. Nelle SMD, l’emocromo mostra spesso una o più citopenie.
      • Striscio di sangue periferico: L’osservazione al microscopio di uno striscio di sangue permette di valutare la morfologia delle cellule del sangue e di identificare eventuali anomalie, come la presenza di blasti (cellule immature) o di cellule displastiche.
      • Aspirato midollare e biopsia osteomidollare: Questi esami permettono di analizzare le cellule del midollo osseo e di valutare la cellularità, la morfologia e la presenza di fibrosi. La biopsia osteomidollare è particolarmente importante per valutare la struttura del midollo osseo e per escludere altre malattie.
      • Citogenetica convenzionale e analisi molecolare: Questi esami permettono di identificare eventuali anomalie cromosomiche o mutazioni genetiche nelle cellule del midollo osseo, che possono aiutare a confermare la diagnosi di SMD e a definire la prognosi.

Prognosi

La prognosi delle SMD è variabile e dipende da diversi fattori, tra cui:

    • Tipo di SMD: Alcune forme di SMD, come l’anemia refrattaria con sideroblasti ad anello (ARSA), hanno una prognosi relativamente buona, mentre altre, come la leucemia mielomonocitica cronica (LMMC), hanno una prognosi più sfavorevole.
    • Numero di citopenie: La presenza di più citopenie è associata a una prognosi peggiore.
    • Presenza di blasti nel sangue o nel midollo osseo: Un elevato numero di blasti indica una maggiore probabilità di progressione verso la leucemia mieloide acuta (LMA).
    • Anomalie citogenetiche: Alcune anomalie cromosomiche sono associate a una prognosi peggiore.
    • Età e stato di salute generale del paziente: I pazienti più anziani o con altre comorbidità tendono ad avere una prognosi meno favorevole.

Cure e Trattamenti

Il trattamento delle SMD dipende da diversi fattori, tra cui il tipo di SMD, la gravità della malattia, l’età e lo stato di salute generale del paziente. Le opzioni terapeutiche includono:

      • Terapia di supporto: Questa terapia mira a controllare i sintomi e a prevenire le complicanze delle SMD. Può includere trasfusioni di sangue, fattori di crescita emopoietici (per stimolare la produzione di cellule del sangue) e antibiotici (per prevenire o trattare le infezioni).
      • Chemioterapia: La chemioterapia può essere utilizzata per ridurre il numero di cellule tumorali nel midollo osseo e per migliorare la produzione di cellule del sangue.
      • Trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche: Il trapianto di cellule staminali da un donatore compatibile è l’unica terapia potenzialmente curativa per le SMD. Tuttavia, è una procedura associata a un rischio significativo di complicanze, e non è adatta a tutti i pazienti.
      • Terapie mirate: Nuovi farmaci, come gli inibitori dell’ipometilato (azacitidina e decitabina) e gli agenti immunomodulatori (lenalidomide), sono stati sviluppati per il trattamento delle SMD. Questi farmaci agiscono su specifici bersagli molecolari coinvolti nella patogenesi delle SMD.

Definizione

La mielofibrosi, nota anche come metaplasia mieloide agnogenica o mielofibrosi con metaplasia mieloide, è una neoplasia mieloproliferativa cronica caratterizzata dalla proliferazione clonale di una cellula staminale emopoietica pluripotente nel midollo osseo. E’una malattia clonale delle cellule staminali ematopoietiche caratterizzata da:

      • Fibrosi midollare: progressiva sostituzione del midollo osseo sano con tessuto fibroso.
      • Emopoiesi extramidollare: produzione di cellule del sangue al di fuori del midollo osseo, principalmente nella milza e nel fegato, che porta a splenomegalia ed epatomegalia.
      • Displasia: maturazione anomala delle cellule del sangue.
      • Anemia: diminuzione dei globuli rossi.
      • Leucocitosi: aumento dei globuli bianchi.
      • Piastrinosi: aumento delle piastrine (talvolta può esserci trombocitopenia, ovvero diminuzione delle piastrine).

Epidemiologia

    • Incidenza: La mielofibrosi è una malattia rara con un’incidenza stimata di 0.5-1.5 casi per 100.000 persone all’anno.
    • Distribuzione per sesso: Colpisce leggermente più gli uomini che le donne.
    • Età di insorgenza: L’età media alla diagnosi è di 60-70 anni, sebbene possa manifestarsi a qualsiasi età.

Eziologia e genetica

La causa esatta della mielofibrosi è sconosciuta. Tuttavia, si ritiene che la malattia sia causata da mutazioni acquisite nel DNA delle cellule staminali ematopoietiche.

      • Mutazione JAK2V617F: presente nel 50-60% dei pazienti con mielofibrosi. Questa mutazione porta all’attivazione costitutiva della proteina JAK2, una tirosin chinasi coinvolta nella proliferazione e differenziazione delle cellule del sangue.
      • Mutazioni CALR: presenti nel 25-35% dei pazienti. Queste mutazioni interessano il gene CALR, che codifica per la calreticulina, una proteina chaperone del reticolo endoplasmatico.
      • Mutazioni MPL: presenti nel 5-10% dei pazienti. Queste mutazioni interessano il gene MPL, che codifica per il recettore della trombopoietina, un fattore di crescita che regola la produzione di piastrine.

Un piccolo numero di pazienti con mielofibrosi non presenta nessuna di queste mutazioni (triple-negative).

Patogenesi

Le mutazioni genetiche descritte sopra portano all’attivazione di vie di segnalazione intracellulari che promuovono la proliferazione e la sopravvivenza delle cellule staminali ematopoietiche. Questo porta a una proliferazione incontrollata di cellule mieloidi, megacariociti displastici e fibrosi midollare. I megacariociti displastici rilasciano fattori di crescita che stimolano i fibroblasti a produrre collagene, contribuendo alla fibrosi. La fibrosi midollare compromette l’emopoiesi normale, portando a citopenie e all’emopoiesi extramidollare.

Manifestazioni cliniche

Le manifestazioni cliniche della mielofibrosi sono variabili e possono essere asintomatiche nelle fasi iniziali. I sintomi più comuni includono:

        • Sintomi sistemici:
            • Astenia (stanchezza)
            • Perdita di peso
            • Febbre
            • Sudorazione notturna
            • Dolore osseo
        • Sintomi correlati alla splenomegalia:
            • Sensazione di pienezza addominale
            • Dolore al quadrante superiore sinistro dell’addome
            • Dispepsia (difficoltà di digestione)
            • Senso di sazietà precoce
        • Sintomi correlati all’anemia:
            • Pallore
            • Dispnea (difficoltà di respirazione)
            • Tachicardia (aumento della frequenza cardiaca)
        • Sintomi correlati alla trombocitopenia o alla disfunzione piastrinica:
            • Sanguinamento (epistassi, gengivorragia, ecchimosi)
        • Altre manifestazioni:
            • Prurito
            • Gotta
            • Ipertensione portale (aumento della pressione sanguigna nella vena porta)
            • Ascite (accumulo di liquido nell’addome)
            • Epatomegalia (ingrossamento del fegato)

Procedimenti diagnostici

La diagnosi di mielofibrosi si basa su una combinazione di:

      • Esame obiettivo: palpazione della milza e del fegato.
      • Esami del sangue:
          • Emocromo completo: per valutare la presenza di anemia, leucocitosi e trombocitopenia.
          • Striscio di sangue periferico: per valutare la morfologia delle cellule del sangue e la presenza di cellule immature.
          • LDH (lattato deidrogenasi): spesso elevato nella mielofibrosi.
          • Uricemia: spesso elevata nella mielofibrosi.
      • Aspirato midollare e biopsia osteomidollare:
          • L’aspirato midollare spesso risulta “a secco” a causa della fibrosi.
          • La biopsia osteomidollare è essenziale per valutare la cellularità midollare, la fibrosi, la displasia e la presenza di blasti.
      • Test genetici: per identificare le mutazioni JAK2V617F, CALR e MPL.
      • Imaging:
          • Ecografia addominale: per valutare le dimensioni della milza e del fegato.
          • TC addome: può essere utile per valutare la fibrosi midollare e l’emopoiesi extramidollare.

Prognosi

La prognosi della mielofibrosi è variabile e dipende da diversi fattori, tra cui l’età del paziente, la presenza di sintomi, il grado di anemia, la conta leucocitaria, la conta piastrinica, la presenza di mutazioni genetiche e il rischio citogenetico. La sopravvivenza mediana è di circa 5-6 anni, ma può variare da pochi mesi a oltre 10 anni.

La mielofibrosi può progredire a leucemia acuta mieloide (LAM) in circa il 10-20% dei pazienti.

Cure e trattamenti

Il trattamento della mielofibrosi dipende dai sintomi, dall’età del paziente e dal rischio di progressione della malattia. Gli obiettivi del trattamento includono:

      • Alleviare i sintomi:
          • Trasfusioni di sangue: per trattare l’anemia.
          • Splenectomia: rimozione chirurgica della milza in caso di splenomegalia sintomatica o complicanze correlate (dolore, ipersplenismo).
          • Radioterapia: per ridurre le dimensioni della milza.
      • Ridurre il rischio di progressione della malattia:
          • Ruxolitinib: un inibitore di JAK1/JAK2 che può ridurre la splenomegalia, i sintomi sistemici e migliorare la qualità di vita.
          • Fedratinib: un altro inibitore di JAK2 con un meccanismo d’azione simile a ruxolitinib.
          • Trapianto di cellule staminali allogeniche: l’unica terapia potenzialmente curativa per la mielofibrosi, ma è associata a una significativa morbilità e mortalità.
      • Altri trattamenti:
          • Androgeni: per stimolare la produzione di globuli rossi.
          • Talidomide o lenalidomide: per ridurre la splenomegalia e l’anemia.
          • Idrossiurea: per controllare la conta leucocitaria e piastrinica.
          • Chemioterapia: per ridurre la proliferazione cellulare.

5. ALTRE MALATTIE EMATOLOGICHE

Definizione

L‘emoglobinuria parossistica notturna (EPN) è una malattia ematologica rara acquisita, caratterizzata dalla distruzione prematura dei globuli rossi (emolisi) a causa di un difetto della membrana cellulare. Questa fragilità rende i globuli rossi suscettibili all’attacco del sistema del complemento, un componente del sistema immunitario.

Si tratta di una malattia clonale delle cellule staminali ematopoietiche. Ciò significa che origina da un’unica cellula staminale del midollo osseo che ha subito una mutazione genetica. Questa mutazione si propaga a tutte le cellule del sangue che derivano da quella cellula staminale, causando la mancanza di alcune proteine sulla superficie dei globuli rossi, fondamentali per proteggerli dalla distruzione da parte del complemento.

Epidemiologia

    • Incidenza: L’EPN è una malattia rara con un’incidenza stimata di 1-5 casi per milione di persone all’anno.
    • Distribuzione per sesso: Colpisce uomini e donne in egual misura.
    • Età di insorgenza: L’EPN può manifestarsi a qualsiasi età, ma è più comune tra i 20 e i 40 anni.

Eziologia e Genetica

L’EPN è causata da una mutazione somatica (acquisita) nel gene PIGA, situato sul cromosoma X. Questo gene è responsabile della produzione di una proteina necessaria per la sintesi del glicosilfosfatidilinositolo (GPI), un’ancora che lega diverse proteine alla superficie cellulare. Tra queste proteine ci sono CD55 e CD59, che regolano l’attività del complemento. In assenza di queste proteine, le cellule del sangue diventano vulnerabili all’attacco del complemento.

Patogenesi

La mancanza di CD55 e CD59 sulla superficie dei globuli rossi a causa della mutazione del gene PIGA porta a un’eccessiva attivazione del complemento. Questo provoca la lisi (distruzione) dei globuli rossi, con conseguente emoglobinemia (presenza di emoglobina libera nel sangue) e emoglobinuria (presenza di emoglobina nelle urine). L’emolisi cronica può portare ad anemia.

Manifestazioni Cliniche

Le manifestazioni cliniche dell’EPN sono variabili e possono includere:

      • Anemia emolitica: È il sintomo più comune e si manifesta con pallore, stanchezza, debolezza, dispnea (difficoltà di respirazione) e ittero (colorazione giallastra della pelle e delle sclere).
      • Emoglobinuria: Emissione di urine scure, soprattutto al mattino, a causa della presenza di emoglobina.
      • Trombosi: L’EPN aumenta il rischio di trombosi (formazione di coaguli di sangue) in vene e arterie, in sedi atipiche come le vene epatiche, addominali, cerebrali e cutanee. Le trombosi possono causare dolore, gonfiore e complicanze gravi come ictus, infarto del miocardio e embolia polmonare.
      • Insufficienza del midollo osseo: La produzione di cellule del sangue nel midollo osseo può essere compromessa, portando a pancitopenia (riduzione di tutte le linee cellulari del sangue: globuli rossi, globuli bianchi e piastrine).
      • Dolore addominale: Può essere causato da trombosi o da crisi emolitiche.
      • Disfagia: Difficoltà a deglutire, dovuta a spasmi esofagei.
      • Erezione dolorosa (priapismo): Negli uomini, a causa di trombosi a livello dei vasi sanguigni del pene.
      • Sintomi neurologici: Cefalea, vertigini, convulsioni e alterazioni della vista, dovuti a trombosi cerebrali.
      • Insufficienza renale: Rara, ma possibile complicanza dell’emoglobinuria cronica.

Procedimenti Diagnostici

La diagnosi di EPN si basa su:

    • Esami del sangue: Emocromo completo, reticolociti, LDH, bilirubina, aptoglobina.
    • Esame delle urine: Ricerca di emoglobina.
    • Citometria a flusso: È il test diagnostico gold standard per l’EPN. Permette di identificare e quantificare le cellule del sangue che mancano delle proteine GPI-ancorate, come CD55 e CD59.

Prognosi

La prognosi dell’EPN è variabile e dipende dalla gravità della malattia e dalla presenza di complicanze. Senza trattamento, l’EPN può essere una malattia grave con un’elevata mortalità, principalmente a causa di trombosi e insufficienza del midollo osseo. Con le terapie attualmente disponibili, la prognosi è significativamente migliorata, con un aumento della sopravvivenza e della qualità di vita.

Cure e Trattamenti

    • Eculizumab: È un anticorpo monoclonale che blocca l’attivazione del complemento. È il trattamento di prima linea per l’EPN e ha dimostrato di ridurre significativamente l’emolisi, le trombosi e la necessità di trasfusioni.
    • Ravulizumab: È un anticorpo monoclonale di nuova generazione con una durata d’azione più lunga rispetto a eculizumab, che permette una somministrazione meno frequente.
    • Trapianto di cellule staminali ematopoietiche: È l’unica terapia potenzialmente curativa per l’EPN, ma è riservato ai casi gravi e con complicanze che non rispondono alle altre terapie.
    • Terapia di supporto: Trasfusioni di sangue, acido folico, ferro, anticoagulanti e immunosoppressori possono essere utilizzati per gestire le complicanze dell’EPN.

Gestione della malattia

    • Monitoraggio regolare: È fondamentale per valutare l’efficacia del trattamento e identificare precocemente eventuali complicanze.
    • Vaccinazione: I pazienti con EPN dovrebbero essere vaccinati contro infezioni come meningite e polmonite, poiché sono più suscettibili a queste malattie.

Definizione

La Porpora Trombocitopenica Idiopatica (PTI), precedentemente nota come Porpora Trombocitopenica Immunitaria o Morbo di Werlhof, è una malattia autoimmune caratterizzata da una piastrinopenia (basso numero di piastrine nel sangue) causata dalla produzione di autoanticorpi diretti contro le piastrine stesse. Le piastrine sono frammenti cellulari essenziali per la coagulazione del sangue; la loro distruzione porta ad un aumentato rischio di sanguinamento.

Epidemiologia

    • Incidenza: La PTI colpisce circa 5-10 persone ogni 100.000 all’anno.
    • Distribuzione per sesso: È leggermente più comune nelle donne che negli uomini.
    • Età di insorgenza: Può manifestarsi a qualsiasi età, ma si osservano due picchi di incidenza: nei bambini tra i 2 e i 6 anni (forma acuta) e negli adulti tra i 20 e i 50 anni (forma cronica).

Eziologia e Genetica

La causa esatta della PTI è sconosciuta (idiopatica), ma si ritiene che sia multifattoriale.

      • Fattori genetici: Alcuni geni coinvolti nella regolazione del sistema immunitario potrebbero predisporre allo sviluppo della malattia.
      • Fattori ambientali: Infezioni virali (come la rosolia, la varicella o l’HIV) o l’esposizione a determinati farmaci possono scatenare la PTI in individui predisposti.

Patogenesi

Nella PTI, il sistema immunitario produce autoanticorpi (principalmente IgG) che si legano alla superficie delle piastrine. Queste piastrine “marcate” vengono riconosciute e distrutte dalla milza, portando ad una riduzione del loro numero nel sangue.

Manifestazioni Cliniche

La PTI può presentarsi con una vasta gamma di sintomi, da lievi a gravi.

      • Sanguinamento cutaneo:
          • Petecchie: piccole macchie rosse o violacee sulla pelle, causate da emorragie puntiformi.
          • Ecchimosi: lividi di dimensioni variabili.
          • Porpora: chiazze emorragiche più estese.
      • Sanguinamento delle mucose:
          • Epistassi: sanguinamento dal naso.
          • Gengivorragia: sanguinamento dalle gengive.
          • Ematuria: sangue nelle urine.
          • Melena: sangue nelle feci (nero).
          • Emorragia gastrointestinale: può manifestarsi con vomito con sangue (ematemesi) o feci nere (melena).
      • Menorragia: flusso mestruale abbondante.
      • Emorragie interne: in casi gravi, possono verificarsi emorragie cerebrali o emorragie in altri organi interni.

Procedimenti Diagnostici

    • Anamnesi ed esame obiettivo: il medico raccoglie informazioni sui sintomi, sulla storia clinica del paziente e valuta la presenza di segni di sanguinamento.
    • Esami del sangue:
      • Emocromo completo: per valutare il numero di piastrine, globuli rossi e globuli bianchi.
      • Striscio di sangue periferico: per osservare la morfologia delle piastrine al microscopio.
      • Test di funzionalità piastrinica: per valutare la capacità delle piastrine di aggregarsi e formare un coagulo.
    • Esame del midollo osseo (aspirato midollare e biopsia ossea): per escludere altre cause di piastrinopenia e valutare la produzione di piastrine nel midollo osseo. In genere, nella PTI, si osserva un numero normale o aumentato di megacariociti (cellule precursori delle piastrine).
    • Esclusione di altre cause di piastrinopenia: è importante escludere altre condizioni che possono causare un basso numero di piastrine, come infezioni, malattie autoimmuni sistemiche, farmaci, leucemie o altre malattie del midollo osseo.

Prognosi

La prognosi della PTI varia a seconda dell’età di insorgenza e della gravità della malattia.

    • Bambini: nella maggior parte dei casi, la PTI nei bambini è acuta e si risolve spontaneamente entro 6-12 mesi senza lasciare conseguenze.
    • Adulti: la PTI negli adulti tende ad avere un decorso cronico, con periodi di remissione e riacutizzazione. La maggior parte dei pazienti può raggiungere una buona qualità di vita con un trattamento adeguato.

Cure e Trattamenti

L’obiettivo del trattamento è quello di aumentare il numero di piastrine e prevenire le emorragie. La scelta del trattamento dipende dalla gravità della malattia, dall’età del paziente e dalla presenza di altri fattori di rischio.

      • Osservazione: nei casi lievi e asintomatici, può essere sufficiente monitorare il numero di piastrine e adottare misure preventive per ridurre il rischio di sanguinamento (evitare attività che possono causare traumi, utilizzare spazzolini da denti a setole morbide, ecc.).
      • Farmaci:
          • Corticosteroidi: (prednisone, desametasone) sono spesso il trattamento di prima linea per aumentare la conta piastrinica.
          • Immunoglobuline per via endovenosa (IVIG): possono essere utilizzate in caso di sanguinamento grave o per preparare i pazienti a interventi chirurgici.
          • Agonisti del recettore della trombopoietina (TPO): (romiplostim, eltrombopag) stimolano la produzione di piastrine nel midollo osseo.
          • Immunosoppressori: (azatioprina, ciclofosfamide) possono essere utilizzati nei casi refrattari ad altri trattamenti.
          • Rituximab: un anticorpo monoclonale che depleta le cellule B, può essere efficace in alcuni pazienti.
      • Splenectomia: la rimozione chirurgica della milza può essere considerata nei pazienti con PTI cronica che non rispondono ai farmaci. La milza è il principale organo responsabile della distruzione delle piastrine “marcate” dagli autoanticorpi.
      • Nuove terapie: sono in fase di studio nuovi farmaci per il trattamento della PTI, come gli inibitori della tirosin chinasi splenica (SYK) e gli anticorpi anti-FcRn.

Gestione della malattia

    • Educazione del paziente: è importante che i pazienti con PTI siano informati sulla loro malattia e sulle misure da adottare per prevenire le emorragie.
    • Monitoraggio regolare: sono necessari controlli periodici per monitorare il numero di piastrine e l’eventuale comparsa di complicanze.