FAQ IN GASTROENTEROLOGIA

Le informazioni non devono MAI sostituire l’attività e il parere del medico nè essere alla base di diagnosi o terapie gestite autonomamente dal Paziente.

DOMANDE FREQUENTI

Le malattie gastrointestinali sono un gruppo eterogeneo di condizioni che colpiscono il tratto digerente, dall’esofago all’ano. I sintomi possono variare notevolmente a seconda della specifica malattia, della sua gravità e della localizzazione.

Tuttavia, alcuni sintomi sono comuni a molte malattie gastrointestinali. Ecco i più frequenti:

Sintomi comuni:

    • Dolore addominale: Può essere crampiforme, colico, continuo o intermittente, e localizzato in diverse aree dell’addome.
    • Nausea e vomito: Sensazione di malessere allo stomaco che può essere accompagnata da emissione di contenuto gastrico.
    • Diarrea: Aumento della frequenza e della fluidità delle evacuazioni.
    • Stipsi: Difficoltà o infrequenza nell’evacuazione delle feci.
    • Gonfiore addominale: Sensazione di pienezza e distensione dell’addome.
    • Perdita di appetito: Mancanza di desiderio di mangiare.
    • Perdita di peso: Diminuzione del peso corporeo non intenzionale.
    • Sangue nelle feci: Può essere visibile ad occhio nudo (rosso vivo o scuro) o rilevabile solo con esami specifici (sangue occulto).
    • Bruciore di stomaco: Sensazione di bruciore al petto, causata dal reflusso di acido dallo stomaco all’esofago.
    • Difficoltà a deglutire: Sensazione di blocco o dolore durante la deglutizione.

Altri sintomi:

    • Febbre: Può essere presente in caso di infezioni o infiammazioni del tratto gastrointestinale.
    • Anemia: Diminuzione dei globuli rossi, che può essere causata da sanguinamento cronico nel tratto digerente.
    • Fatica: Sensazione di stanchezza e debolezza generalizzata.
    • Cambiamenti nelle abitudini intestinali: Alterazioni nella frequenza, nella consistenza o nel colore delle feci.

Quando consultare un medico:

È importante consultare un medico se i sintomi sono:

    • Severi o persistenti
    • Accompagnati da febbre alta, vomito incoercibile o sangue nelle feci
    • Associati a perdita di peso significativa o anemia

La diarrea persistente, ovvero che dura per più di 4 settimane, può essere sintomo di diverse condizioni, alcune delle quali possono essere serie. Non è possibile fare una diagnosi solo sulla base di questo sintomo, ma è importante rivolgersi ad un medico per una valutazione completa.

Ecco alcune possibili cause di diarrea persistente:

Cause non gravi:

    • Sindrome dell’intestino irritabile (IBS): È una condizione funzionale comune che causa dolore addominale, gonfiore e alterazioni dell’alvo, tra cui diarrea o stipsi.
    • Intolleranze alimentari: Come l’intolleranza al lattosio o al glutine, possono causare diarrea quando si consumano gli alimenti incriminati.
    • Effetti collaterali di farmaci: Alcuni farmaci, come antibiotici o antiacidi, possono causare diarrea come effetto collaterale.
    • Infezioni intestinali: Anche se la maggior parte delle infezioni intestinali sono acute, alcune possono persistere per diverse settimane.

Cause più gravi:

    • Malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI): Come la malattia di Crohn e la colite ulcerosa, sono condizioni infiammatorie croniche che colpiscono l’intestino.
    • Malassorbimento: Difficoltà nell’assorbimento dei nutrienti a livello intestinale, che può essere causata da diverse condizioni, come la celiachia o la malattia di Whipple.
    • Tumori del tratto gastrointestinale: Anche se meno comuni, possono causare diarrea persistente.
    • Problemi alla tiroide: L’ipertiroidismo può causare diarrea.
    • Diabete: Il diabete scarsamente controllato può causare diarrea.

Quando preoccuparsi:

È importante consultare un medico se la diarrea persistente è accompagnata da:

    • Sangue nelle feci
    • Febbre alta
    • Dolore addominale severo
    • Perdita di peso significativa
    • Disidratazione (segni di disidratazione includono sete intensa, urine scure, debolezza e vertigini)

La presenza di sangue nelle feci non è un sintomo da sottovalutare e richiede sempre una visita medica per identificarne la causa e ricevere un trattamento adeguato.

Ecco cosa fare se noti sangue nelle feci:

  1. Non allarmarti, ma non ignorare il problema: Mentre in alcuni casi la causa può essere banale, come emorroidi o ragadi anali, in altri potrebbe indicare una condizione più seria.
  2. Osserva le caratteristiche del sangue:
    • Colore:
      • Rosso vivo: indica generalmente un sanguinamento nella parte inferiore del tratto digerente (retto o ano).
      • Rosso scuro o nero (melena): suggerisce un sanguinamento nella parte superiore del tratto digerente (esofago, stomaco o intestino tenue).
    • Quantità: Da piccole tracce a sanguinamento abbondante.
    • Presenza di altri sintomi: Come dolore addominale, diarrea, stipsi, perdita di peso, febbre.
  3. Contatta il tuo medico curante o un gastroenterologo: Descrivi i sintomi e le caratteristiche del sangue osservato. Il medico ti farà domande sulla tua storia clinica e potrebbe richiedere esami per approfondire la diagnosi.
  4. Non assumere farmaci senza il consiglio del medico: Alcuni farmaci, come gli antinfiammatori, possono aumentare il rischio di sanguinamento gastrointestinale.
  5. Segui le indicazioni del medico: In base alla causa del sanguinamento, il medico ti indicherà il trattamento più appropriato.

Possibili cause di sangue nelle feci:

    • Emorroidi: Vene gonfie e infiammate nell’ano e nel retto.
    • Ragadi anali: Piccole lacerazioni della mucosa anale.
    • Diverticolite: Infiammazione o infezione di piccole sacche (diverticoli) che si formano nell’intestino.
    • Malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI): Come la malattia di Crohn e la colite ulcerosa.
    • Polipi intestinali: Escrescenze benigne che si sviluppano sulla mucosa dell’intestino.
    • Tumori del tratto gastrointestinale: Possono causare sanguinamento, soprattutto se localizzati nel colon o nel retto.
    • Ulcera peptica: Lesione della mucosa dello stomaco o del duodeno.
    • Gastrite: Infiammazione della mucosa dello stomaco.
    • Esofagite: Infiammazione della mucosa dell’esofago.
    • Varici esofagee: Dilatazione delle vene nell’esofago, che possono sanguinare.
    • Angiodisplasia: Malformazione dei vasi sanguigni nel tratto gastrointestinale.

Esami diagnostici:

    • Esami del sangue: Per valutare lo stato di salute generale e ricercare eventuali infezioni o anemia.
    • Esame delle feci: Per la ricerca di sangue occulto.
    • Rettoscopia: Per visualizzare il retto e l’ano.
    • Colonscopia: Per esaminare l’intero colon.
    • Gastroscopia: Per visualizzare l’esofago, lo stomaco e il duodeno.
    • Enteroscopia: Per esaminare l’intestino tenue.

Il reflusso gastroesofageo si verifica quando i succhi gastrici risalgono dallo stomaco all’esofago, provocando irritazione e infiammazione. I sintomi possono variare da persona a persona e in base alla gravità della condizione.

Sintomi tipici:

    • Bruciore di stomaco (pirosi): Sensazione di bruciore al petto, che può irradiarsi verso la gola e la schiena. È il sintomo più comune e spesso si manifesta dopo i pasti o quando ci si sdraia.
    • Rigurgito acido: Risalita di liquido acido o amaro in bocca, a volte accompagnato da cibo non digerito.
    • Dolore toracico: Può essere simile al dolore cardiaco, quindi è importante escludere problemi cardiaci.
    • Difficoltà a deglutire (disfagia): Sensazione di blocco o dolore durante la deglutizione.
    • Tosse cronica: Soprattutto di notte o al mattino.
    • Raucedine: Alterazione della voce a causa dell’irritazione delle corde vocali.
    • Mal di gola: Sensazione di irritazione o bruciore alla gola.
    • Asma: Il reflusso può peggiorare i sintomi dell’asma.
    • Alito cattivo: Causato dalla risalita di acido e cibo dallo stomaco.

Sintomi atipici:

    • Dolore all’orecchio: Può essere causato dall’irritazione del nervo vago, che collega l’orecchio allo stomaco.
    • Sinusite cronica: L’acido che risale può irritare i seni paranasali.
    • Erosione dentale: L’acido può danneggiare lo smalto dei denti.

Quando consultare un medico:

Se i sintomi sono frequenti o intensi, è importante consultare un medico per una diagnosi accurata e un trattamento adeguato. Il medico potrebbe richiedere esami come la gastroscopia per valutare l’esofago e lo stomaco.

La stitichezza, o stipsi, è un disturbo comune che si manifesta con difficoltà o infrequenza nell’evacuazione delle feci. Nella maggior parte dei casi, è un problema temporaneo causato da fattori come una dieta povera di fibre, disidratazione, mancanza di esercizio fisico o stress. Tuttavia, in alcuni casi, la stitichezza persistente o grave può essere sintomo di una patologia sottostante.

Ecco alcune possibili cause di stitichezza:

Cause non gravi:

    • Stile di vita: Dieta povera di fibre, scarsa idratazione, sedentarietà, ignorare lo stimolo ad evacuare.
    • Viaggi: Cambiamenti nelle abitudini alimentari e nell’ambiente.
    • Gravidanza: Cambiamenti ormonali e pressione sull’intestino.
    • Farmaci: Alcuni farmaci, come antidepressivi, antidolorifici oppioidi e antiacidi, possono causare stitichezza.
    • Sindrome dell’intestino irritabile (IBS): Può causare stitichezza o diarrea, o un’alternanza di entrambe.

Cause più gravi:

    • Ostruzione intestinale: Può essere causata da aderenze, tumori, diverticolite o fecalomi.
    • Malattie neurologiche: Come la malattia di Parkinson, la sclerosi multipla o ictus.
    • Malattie endocrine: Come l’ipotiroidismo o il diabete.
    • Disturbi del pavimento pelvico: Come la dissinergia del pavimento pelvico.
    • Tumori del colon-retto: Possono causare stitichezza, soprattutto se localizzati nella parte finale dell’intestino.

Quando preoccuparsi:

È importante consultare un medico se la stitichezza:

    • È persistente e non migliora con cambiamenti nello stile di vita
    • È accompagnata da sangue nelle feci, dolore addominale severo, perdita di peso, nausea o vomito
    • Si manifesta improvvisamente e in modo significativo
    • È associata a febbre o gonfiore addominale

Diagnosi:

Per identificare la causa della stitichezza, il medico potrebbe richiedere:

    • Esame obiettivo: Per valutare lo stato di salute generale e palpare l’addome.
    • Esame rettale: Per valutare il tono dello sfintere anale e la presenza di eventuali masse.
    • Esami del sangue: Per escludere altre condizioni mediche.
    • Esami delle feci: Per la ricerca di sangue occulto.
    • Colonscopia: Per visualizzare l’interno del colon e prelevare eventuali biopsie.
    • Defecografia: Per valutare la funzionalità dei muscoli del pavimento pelvico durante l’evacuazione.

I tumori dell’apparato digerente, purtroppo, sono piuttosto comuni e possono colpire diverse parti del tratto gastrointestinale, dall’esofago all’ano.

Ecco alcuni dei tumori più frequenti:

1. Tumore del colon-retto:

    • È uno dei tumori più diffusi in Italia e nel mondo.
    • Colpisce principalmente le persone anziane, ma l’incidenza sta aumentando anche tra i giovani.
    • I fattori di rischio includono una dieta ricca di grassi e povera di fibre, la sedentarietà, il fumo, l’obesità e la familiarità.
    • Spesso si sviluppa a partire da polipi adenomatosi, escrescenze benigne che possono trasformarsi in tumori maligni.
    • La diagnosi precoce è fondamentale per la guarigione. La colonscopia è l’esame principale per la diagnosi e la prevenzione.

2. Tumore dello stomaco:

    • È più comune negli uomini e nelle persone anziane.
    • L’infezione da Helicobacter pylori è un importante fattore di rischio, insieme a una dieta ricca di cibi salati e affumicati e al fumo.
    • I sintomi iniziali sono spesso aspecifici, come indigestione, bruciore di stomaco e perdita di appetito.
    • La gastroscopia è l’esame principale per la diagnosi.

3. Tumore del pancreas:

    • È un tumore aggressivo con una prognosi spesso sfavorevole.
    • I fattori di rischio includono il fumo, il diabete, la pancreatite cronica e la familiarità.
    • I sintomi si manifestano spesso in fase avanzata e includono dolore addominale, ittero, perdita di peso e diarrea.
    • La diagnosi è complessa e può richiedere ecografia, TAC, risonanza magnetica ed esami endoscopici.

4. Tumore dell’esofago:

    • È più comune negli uomini e nelle persone anziane.
    • Il reflusso gastroesofageo cronico e il fumo sono importanti fattori di rischio.
    • I sintomi principali sono difficoltà a deglutire, dolore toracico e perdita di peso.
    • La gastroscopia è l’esame principale per la diagnosi.

5. Tumore del fegato:

    • Può essere primitivo (originato nel fegato) o secondario (metastasi da altri tumori).
    • I principali fattori di rischio per il tumore primitivo del fegato sono l’infezione da virus dell’epatite B e C, la cirrosi epatica e l’abuso di alcol.
    • I sintomi si manifestano spesso in fase avanzata e includono dolore addominale, ittero, perdita di peso e ascite.
    • La diagnosi si basa su esami del sangue, ecografia, TAC e risonanza magnetica.

Altri tumori meno comuni:

    • Tumore dell’intestino tenue
    • Tumore delle vie biliari
    • Tumore dell’ano

Le malattie gastrointestinali possono manifestarsi con una varietà di sintomi, e per questo motivo la diagnosi richiede spesso una combinazione di diverse indagini. Ecco alcuni dei test diagnostici più comuni:

Esami non invasivi:

    • Esame delle feci: Analisi di un campione di feci per rilevare la presenza di sangue occulto, infezioni (batteri, virus, parassiti), infiammazione (calprotectina) o alterazioni della flora batterica intestinale.
    • Esami del sangue: Possono fornire informazioni sullo stato di salute generale e su eventuali infiammazioni, infezioni, anemia o carenze nutrizionali.
    • Test del respiro: Utilizzati per diagnosticare intolleranze alimentari (lattosio, fruttosio) o la sovracrescita batterica nel piccolo intestino (SIBO).
    • Ecografia addominale: Utilizza onde sonore per visualizzare gli organi addominali, come fegato, pancreas, cistifellea e intestino. Utile per identificare masse, calcoli biliari o infiammazioni.

Esami endoscopici:

    • Gastroscopia: Inserimento di un tubo flessibile con una telecamera (endoscopio) attraverso la bocca per visualizzare l’esofago, lo stomaco e il duodeno. Permette di rilevare infiammazioni, ulcere, polipi o tumori.
    • Colonscopia: Inserimento di un endoscopio attraverso l’ano per visualizzare l’intero colon. Utile per diagnosticare polipi, tumori, diverticolite o malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI).
    • Enteroscopia: Permette di visualizzare l’intestino tenue, che non è raggiungibile con la gastroscopia e la colonscopia tradizionale. Esistono diverse tecniche di enteroscopia, come la enteroscopia a doppia bolla o la videocapsula endoscopica.

Esami radiologici:

    • Radiografia addominale: Utilizza raggi X per visualizzare gli organi addominali. Utile per identificare ostruzioni intestinali, perforazioni o corpi estranei.
    • Clisma opaco: Radiografia del colon dopo l’introduzione di un mezzo di contrasto. Permette di visualizzare la forma e la struttura del colon.
    • TAC addominale: Utilizza raggi X e un computer per creare immagini dettagliate degli organi addominali. Utile per identificare masse, infiammazioni o anomalie vascolari.
    • Risonanza magnetica (RM) addominale: Utilizza campi magnetici e onde radio per creare immagini dettagliate degli organi addominali. Utile per valutare fegato, pancreas, intestino e vasi sanguigni.

Altri esami:

    • Manometria esofagea: Misura la pressione e la coordinazione dei muscoli dell’esofago durante la deglutizione. Utile per diagnosticare disturbi della motilità esofagea, come l’acalasia.
    • pH-metria esofagea: Misura l’acidità nell’esofago per 24 ore. Utile per diagnosticare il reflusso gastroesofageo.
    • Studio del transito intestinale: Utilizza marcatori radioopachi per valutare la velocità di transito del cibo attraverso l’intestino. Utile per diagnosticare disturbi della motilità intestinale.

REFLUSSO GASTROESOFAGEO

Il reflusso gastroesofageo (GERD) è una condizione in cui il contenuto dello stomaco, inclusi acido e cibo non digerito, risale nell’esofago. L’esofago è il tubo che collega la bocca allo stomaco. Normalmente, una valvola muscolare chiamata sfintere esofageo inferiore impedisce al contenuto dello stomaco di risalire. Tuttavia, se questo sfintere si indebolisce o si rilassa in modo anomalo, si verifica il reflusso.

Sintomi:

I sintomi del reflusso gastroesofageo possono variare da persona a persona e in base alla gravità della condizione. Alcuni dei sintomi più comuni includono:

    • Bruciore di stomaco (pirosi): Sensazione di bruciore al petto, che può irradiarsi verso la gola e la schiena. È il sintomo più comune e spesso si manifesta dopo i pasti o quando ci si sdraia.
    • Rigurgito acido: Risalita di liquido acido o amaro in bocca, a volte accompagnato da cibo non digerito.
    • Dolore toracico: Può essere simile al dolore cardiaco, quindi è importante escludere problemi cardiaci in caso di dolore toracico.
    • Difficoltà a deglutire (disfagia): Sensazione di blocco o dolore durante la deglutizione.
    • Tosse cronica: Soprattutto di notte o al mattino.
    • Raucedine: Alterazione della voce a causa dell’irritazione delle corde vocali.
    • Mal di gola: Sensazione di irritazione o bruciore alla gola.
    • Asma: Il reflusso può peggiorare i sintomi dell’asma.
    • Alito cattivo: Causato dalla risalita di acido e cibo dallo stomaco.

Sintomi atipici:

    • Dolore all’orecchio: Può essere causato dall’irritazione del nervo vago, che collega l’orecchio allo stomaco.
    • Sinusite cronica: L’acido che risale può irritare i seni paranasali.
    • Erosione dentale: L’acido può danneggiare lo smalto dei denti.

Quando consultare un medico:

Se i sintomi sono frequenti o intensi, è importante consultare un medico per una diagnosi accurata e un trattamento adeguato.

Complicanze:

Se non trattato, il reflusso gastroesofageo cronico può portare a complicanze come:

    • Esofagite: Infiammazione dell’esofago.
    • Stenosi esofagea: Restringimento dell’esofago che rende difficile la deglutizione.
    • Esofago di Barrett: Cambiamento precanceroso nel rivestimento dell’esofago.
    • Cancro esofageo: Il reflusso cronico aumenta il rischio di cancro esofageo.

La diagnosi di reflusso gastroesofageo si basa principalmente sulla presenza di sintomi tipici, come bruciore di stomaco e rigurgito acido. Tuttavia, in alcuni casi, possono essere necessari ulteriori esami per confermare la diagnosi o escludere altre condizioni.

Ecco alcuni dei metodi diagnostici più comuni per il reflusso gastroesofageo:

1. Valutazione clinica:

Il medico inizierà con un’accurata anamnesi, raccogliendo informazioni sui sintomi, sulla loro frequenza e intensità, sulle abitudini alimentari e sullo stile di vita del paziente. Un esame fisico può aiutare a escludere altre cause dei sintomi.

2. PPI test:

In presenza di sintomi tipici, il medico può prescrivere una terapia empirica con inibitori di pompa protonica (PPI) per 2-4 settimane. Se i sintomi migliorano con la terapia, la diagnosi di reflusso gastroesofageo può essere confermata.

3. Gastroscopia:

La gastroscopia è un esame endoscopico che permette di visualizzare direttamente l’esofago, lo stomaco e il duodeno. Durante l’esame, il medico può osservare eventuali infiammazioni, ulcere, erosioni o stenosi. La gastroscopia consente anche di prelevare biopsie per l’analisi microscopica, utile per escludere la presenza di esofago di Barrett o di altre condizioni.

4. pH-metria esofagea:

La pH-metria esofagea è un esame che misura l’acidità nell’esofago per 24 ore. Un sottile catetere viene inserito attraverso il naso e posizionato nell’esofago inferiore. Il paziente indossa un piccolo dispositivo che registra i livelli di pH durante le attività quotidiane, come mangiare, dormire e lavorare. La pH-metria esofagea è utile per valutare la frequenza e la durata degli episodi di reflusso acido e per correlarli ai sintomi del paziente.

5. Impedenziometria esofagea:

L’impedenziometria esofagea misura il passaggio di liquidi e gas nell’esofago. Questo esame può rilevare anche il reflusso non acido, che non viene rilevato dalla pH-metria. L’impedenziometria è spesso combinata con la pH-metria (pH-impedenziometria) per fornire una valutazione completa del reflusso.

6. Manometria esofagea:

La manometria esofagea misura la pressione e la coordinazione dei muscoli dell’esofago durante la deglutizione. Questo esame è utile per valutare la funzionalità dello sfintere esofageo inferiore e per diagnosticare disturbi della motilità esofagea, come l’acalasia.

7. Studio radiologico del tubo digerente:

In alcuni casi, può essere richiesto uno studio radiologico del tubo digerente con mezzo di contrasto. Questo esame permette di visualizzare l’anatomia e la funzione dell’esofago, dello stomaco e del duodeno.

Il trattamento per il reflusso gastroesofageo mira a ridurre i sintomi, prevenire le complicanze e migliorare la qualità della vita del paziente. Le opzioni di trattamento includono modifiche dello stile di vita, farmaci e, in rari casi, chirurgia.

Modifiche dello stile di vita:

Spesso, apportare cambiamenti nello stile di vita può aiutare a controllare i sintomi del reflusso. Ecco alcuni consigli:

    • Perdita di peso: Se sei in sovrappeso o obeso, perdere anche solo una piccola quantità di peso può fare la differenza.
    • Dieta:
      • Evita cibi e bevande che peggiorano i sintomi, come cibi grassi, fritti, piccanti, cioccolato, caffè, alcolici e bevande gassate.
      • Mangia pasti piccoli e frequenti, evitando pasti abbondanti.
      • Mastica bene il cibo e mangia lentamente.
      • Non ti sdraiare subito dopo i pasti: aspetta almeno 2-3 ore prima di coricarti.
    • Elevare la testa del letto: Metti dei rialzi (circa 15-20 cm) sotto la testiera del letto per favorire il drenaggio dei succhi gastrici.
    • Smettere di fumare: Il fumo può indebolire lo sfintere esofageo inferiore e aumentare la produzione di acido gastrico.
    • Evitare abiti stretti: Indossa abiti comodi che non comprimono l’addome.
    • Gestire lo stress: Lo stress può peggiorare i sintomi del reflusso. Trova tecniche di rilassamento che funzionano per te, come yoga, meditazione o esercizio fisico.

Farmaci:

Se le modifiche dello stile di vita non sono sufficienti, il medico può prescrivere farmaci per controllare i sintomi e guarire l’esofago. Le principali categorie di farmaci includono:

    • Antiacidi: Neutralizzano l’acido gastrico e forniscono un sollievo rapido dai sintomi. Sono disponibili senza prescrizione medica, ma è importante non abusarne.
    • Antagonisti dei recettori H2: Ridicono la produzione di acido gastrico. Sono disponibili sia con che senza prescrizione medica.
    • Inibitori della pompa protonica (PPI): Bloccano la produzione di acido gastrico in modo più efficace rispetto agli antagonisti dei recettori H2. Sono i farmaci più efficaci per il trattamento del reflusso gastroesofageo e sono disponibili solo con prescrizione medica.
    • Procinetici: Accelerano lo svuotamento gastrico e aiutano a prevenire il reflusso.

Chirurgia:

La chirurgia è raramente necessaria per il reflusso gastroesofageo. Può essere considerata nei casi in cui:

    • I sintomi sono gravi e non rispondono ai farmaci.
    • Ci sono complicanze, come esofagite grave, stenosi esofagea o esofago di Barrett.
    • Il paziente non desidera assumere farmaci a lungo termine.

L’intervento chirurgico più comune per il reflusso gastroesofageo è la fundoplicatio, che consiste nel creare una valvola artificiale attorno all’esofago inferiore utilizzando la parte superiore dello stomaco.

Modificare il proprio stile di vita può essere incredibilmente efficace nella gestione del reflusso gastroesofageo. Ecco alcuni cambiamenti chiave che puoi adottare:

1. Mantenere un peso sano:

    • Se sei in sovrappeso o obeso, perdere anche solo una piccola quantità di peso può ridurre la pressione sullo stomaco e diminuire la frequenza degli episodi di reflusso.

2. Adottare una dieta equilibrata:

    • Limitare i cibi che favoriscono il reflusso:
      • Cibi grassi e fritti: rallentano la digestione e aumentano la pressione sullo stomaco.
      • Cibi piccanti: irritano l’esofago.
      • Cioccolato: rilassa lo sfintere esofageo inferiore.
      • Caffè e bevande contenenti caffeina: stimolano la produzione di acido gastrico.
      • Alcolici: irritano l’esofago e rilassano lo sfintere esofageo inferiore.
      • Bevande gassate: aumentano la pressione sullo stomaco.
      • Agrumi e succhi di frutta: sono acidi e possono irritare l’esofago.
      • Cipolle e aglio: possono rilassare lo sfintere esofageo inferiore.
      • Menta: può rilassare lo sfintere esofageo inferiore.
    • Privilegiare cibi che aiutano a controllare il reflusso:
      • Frutta e verdura: sono ricche di fibre e aiutano a favorire la digestione.
      • Cereali integrali: sono una buona fonte di fibre.
      • Carni magre: sono più facili da digerire rispetto alle carni grasse.
      • Pesce: è una buona fonte di proteine e acidi grassi omega-3.
    • Mangiare pasti piccoli e frequenti: Evita pasti abbondanti e mangia lentamente, masticando bene il cibo. Questo aiuta a ridurre la pressione sullo stomaco e a favorire la digestione.
    • Non mangiare nelle 2-3 ore prima di andare a dormire: Questo permette allo stomaco di svuotarsi prima di coricarsi, riducendo il rischio di reflusso notturno.

3. Elevare la testa del letto:

    • Metti dei rialzi (circa 15-20 cm) sotto la testiera del letto, o utilizza un cuscino a cuneo, per favorire il drenaggio dei succhi gastrici e prevenire il reflusso durante la notte.

4. Evitare abiti stretti:

    • Indossare abiti comodi che non comprimono l’addome aiuta a ridurre la pressione sullo stomaco.

5. Limitare l’uso di alcuni farmaci:

    • Alcuni farmaci, come gli antinfiammatori non steroidei (FANS), possono irritare l’esofago e peggiorare i sintomi del reflusso. Se assumi questi farmaci regolarmente, parlane con il tuo medico per valutare eventuali alternative.

GASTRITE

La gastrite è un’infiammazione, acuta o cronica, della mucosa gastrica, ovvero il rivestimento interno dello stomaco. Questa infiammazione può essere causata da diversi fattori, tra cui:

1. Infezione da Helicobacter pylori:

    • È la causa più comune di gastrite cronica.
    • L’Helicobacter pylori è un batterio che può sopravvivere nell’ambiente acido dello stomaco e danneggiare la mucosa gastrica.
    • L’infezione si trasmette principalmente attraverso cibo o acqua contaminati.

2. Uso prolungato di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS):

    • I FANS, come l’ibuprofene e il naprossene, possono irritare la mucosa gastrica, soprattutto se assunti a lungo termine o a dosaggi elevati.

3. Abuso di alcol:

    • L’alcol può danneggiare la mucosa gastrica e aumentare la produzione di acido gastrico.

4. Reflusso biliare:

    • La bile, prodotta dal fegato, può risalire dallo stomaco all’esofago e irritare la mucosa gastrica.

5. Fattori autoimmuni:

    • In alcuni casi, il sistema immunitario può attaccare erroneamente le cellule della mucosa gastrica, causando gastrite autoimmune.

6. Altri fattori:

    • Stress
    • Fumo
    • Traumi
    • Interventi chirurgici
    • Radioterapia
    • Ingestione di sostanze caustiche

Tipi di gastrite:

    • Gastrite acuta: Insorge improvvisamente e di solito è di breve durata.
    • Gastrite cronica: Si sviluppa gradualmente e può persistere per anni.
    • Gastrite erosiva: Caratterizzata dalla presenza di erosioni (lesioni superficiali) sulla mucosa gastrica.
    • Gastrite atrofica: Caratterizzata dall’assottigliamento della mucosa gastrica.

I sintomi della gastrite possono variare notevolmente da persona a persona e in base alla gravità dell’infiammazione. Alcune persone con gastrite non presentano alcun sintomo, mentre altre possono avere sintomi lievi o gravi.

Ecco alcuni dei sintomi più comuni della gastrite:

Sintomi comuni:

    • Dolore o fastidio addominale: Spesso localizzato nella parte superiore dell’addome, può essere descritto come un dolore sordo, un bruciore o un crampo.
    • Bruciore di stomaco: Sensazione di bruciore al petto, che può peggiorare dopo i pasti o quando ci si sdraia.
    • Nausea e vomito: Sensazione di malessere allo stomaco che può essere accompagnata da emissione di contenuto gastrico.
    • Gonfiore addominale: Sensazione di pienezza e distensione dell’addome.
    • Perdita di appetito: Mancanza di desiderio di mangiare.
    • Sensazione di pienezza precoce: Sensazione di essere pieni dopo aver mangiato solo una piccola quantità di cibo.
    • Indigestione: Difficoltà a digerire il cibo.
    • Eructazioni: Emissione di aria dallo stomaco attraverso la bocca.

Sintomi meno comuni:

    • Sangue nel vomito o nelle feci: Può indicare una gastrite erosiva o un’ulcera gastrica.
    • Feci nere o catramose (melena): Indicano la presenza di sangue digerito nelle feci.
    • Anemia: Può essere causata da una perdita cronica di sangue a livello gastrico.
    • Perdita di peso: Può essere un segno di gastrite cronica o di altre condizioni gastrointestinali.

La diagnosi e il trattamento della gastrite dipendono dalla causa scatenante e dalla gravità dei sintomi. Ecco un percorso tipico:

Diagnosi:

  1. Anamnesi e esame obiettivo: Il medico inizierà con un colloquio per raccogliere informazioni sulla tua storia clinica, i sintomi, le abitudini alimentari e l’eventuale assunzione di farmaci. Seguirà un esame fisico, con particolare attenzione all’addome.

  2. Esami di laboratorio:

    • Test per l’Helicobacter pylori: Se si sospetta un’infezione da H. pylori, il medico può richiedere un test del respiro, un esame delle feci o una biopsia gastrica durante un’endoscopia.
    • Esami del sangue: Possono essere prescritti per valutare la presenza di anemia o altri indicatori di infiammazione.
  3. Gastroscopia: È l’esame più accurato per visualizzare direttamente la mucosa gastrica. Un tubo sottile e flessibile con una telecamera viene inserito attraverso la bocca fino allo stomaco. Durante la gastroscopia, il medico può osservare eventuali anomalie, infiammazioni, erosioni o ulcere. È possibile anche prelevare piccoli campioni di tessuto (biopsie) per analizzarli al microscopio.

Trattamento:

Il trattamento della gastrite varia a seconda della causa e può includere:

  1. Modifiche dello stile di vita:

    • Eliminare i fattori irritanti: Evitare cibi piccanti, grassi, acidi, alcol e caffeina.
    • Smettere di fumare: Il fumo può irritare la mucosa gastrica e rallentare la guarigione.
    • Gestire lo stress: Lo stress può peggiorare i sintomi della gastrite.
    • Mangiare pasti piccoli e frequenti: Questo aiuta a ridurre la quantità di acido nello stomaco.
  2. Farmaci:

    • Antiacidi: Neutralizzano l’acido gastrico e forniscono un sollievo rapido dai sintomi.
    • Inibitori della pompa protonica (PPI): Bloccano la produzione di acido gastrico.
    • Antagonisti dei recettori H2: Ridicono la produzione di acido gastrico.
    • Antibiotici: Se la gastrite è causata da H. pylori, il medico prescriverà una terapia antibiotica per eradicare il batterio.
    • Protettori della mucosa: Aiutano a proteggere la mucosa gastrica dall’azione irritante dell’acido.

ULCERA PETPICA

Un’ulcera peptica è una lesione della mucosa che riveste lo stomaco (ulcera gastrica) o la prima parte dell’intestino tenue, chiamata duodeno (ulcera duodenale). In pratica, si tratta di una sorta di “buco” che si forma nello strato protettivo di questi organi.

Le principali cause di ulcera peptica sono:

    • Infezione da Helicobacter pylori: Questo batterio è in grado di sopravvivere nell’ambiente acido dello stomaco e può danneggiare la mucosa, favorendo la formazione di ulcere. È la causa più comune di ulcera peptica.
    • Uso di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS): Farmaci come l’aspirina, l’ibuprofene e il naprossene, assunti frequentemente o a dosaggi elevati, possono irritare e danneggiare la mucosa gastrica e duodenale.
    • Fumo: Il fumo di sigaretta aumenta il rischio di ulcera peptica e ne rallenta la guarigione.
    • Alcol: L’abuso di alcol può irritare la mucosa gastrica e favorire la formazione di ulcere.
    • Stress: Lo stress può aumentare la produzione di acido gastrico e peggiorare i sintomi dell’ulcera.
    • Sindrome di Zollinger-Ellison: Una rara condizione in cui un tumore produce un eccesso di gastrina, un ormone che stimola la produzione di acido gastrico.

I sintomi dell’ulcera peptica possono variare da persona a persona, e in alcuni casi, possono essere assenti o molto lievi.

Tuttavia, il sintomo più comune è:

    • Dolore addominale:
      • Spesso descritto come un dolore bruciante, gnadente o urente.
      • Localizzato nella parte superiore dell’addome, tra lo sterno e l’ombelico.
      • Può manifestarsi a stomaco vuoto, di notte o dopo i pasti (soprattutto nel caso di ulcera gastrica).
      • Può essere alleviato mangiando o assumendo antiacidi.

Altri sintomi possono includere:

    • Bruciore di stomaco: Sensazione di bruciore al petto, che può irradiarsi verso la gola.
    • Nausea e vomito: Sensazione di malessere allo stomaco che può essere accompagnata da emissione di contenuto gastrico.
    • Gonfiore addominale: Sensazione di pienezza e distensione dell’addome.
    • Perdita di appetito: Mancanza di desiderio di mangiare.
    • Perdita di peso: Può essere un segno di ulcera peptica cronica o di altre condizioni gastrointestinali.
    • Sangue nel vomito o nelle feci: Segni di sanguinamento gastrointestinale, che può manifestarsi come ematemesi (vomito con sangue rosso vivo o scuro) o melena (feci nere e catramose).

Sintomi di allarme:

Se si verificano i seguenti sintomi, è importante consultare immediatamente un medico:

    • Vomito con sangue rosso vivo
    • Feci nere e catramose
    • Dolore addominale improvviso e intenso
    • Debolezza o svenimento

Differenze tra ulcera gastrica e duodenale:

    • Ulcera gastrica: Il dolore spesso peggiora dopo i pasti.
    • Ulcera duodenale: Il dolore spesso migliora dopo i pasti e può peggiorare di notte o a stomaco vuoto.

La diagnosi e il trattamento dell’ulcera peptica sono fondamentali per alleviare i sintomi, promuovere la guarigione e prevenire complicanze. Ecco come si procede:

Diagnosi:

  1. Anamnesi ed esame obiettivo: Il medico raccoglierà informazioni sui tuoi sintomi, la storia clinica, le abitudini alimentari e l’eventuale uso di farmaci. L’esame fisico può includere la palpazione dell’addome per individuare eventuali aree dolenti.

  2. Gastroscopia (esofagogastroduodenoscopia): È l’esame principale per diagnosticare l’ulcera peptica. Un tubo sottile e flessibile con una telecamera (endoscopio) viene inserito attraverso la bocca fino allo stomaco e al duodeno, permettendo al medico di visualizzare direttamente la mucosa e individuare eventuali ulcere. Durante la gastroscopia, è possibile prelevare piccoli campioni di tessuto (biopsie) per analizzarli al microscopio e verificare la presenza di Helicobacter pylori o altre anomalie.

  3. Test per l’Helicobacter pylori: Se si sospetta un’infezione da H. pylori, il medico può richiedere uno dei seguenti test:

    • Test del respiro: Il paziente ingerisce una sostanza contenente urea marcata con un isotopo non radioattivo. Se è presente H. pylori, il batterio scompone l’urea e rilascia anidride carbonica marcata, che viene rilevata nell’aria espirata.
    • Test delle feci: Rileva la presenza di antigeni di H. pylori nelle feci.
    • Biopsia gastrica: Durante la gastroscopia, viene prelevato un campione di tessuto gastrico che viene analizzato per la presenza di H. pylori.
  4. Esami radiologici: In alcuni casi, può essere richiesto uno studio radiologico del tubo digerente con mezzo di contrasto (pasto baritato), ma la gastroscopia è generalmente preferita per la sua maggiore accuratezza.

Trattamento:

Il trattamento dell’ulcera peptica mira a:

  • Alleviare i sintomi: Antiacidi e altri farmaci per ridurre l’acidità gastrica possono fornire un sollievo rapido dal dolore e dal bruciore di stomaco.
  • Promuovere la guarigione dell’ulcera: Inibitori della pompa protonica (PPI) e antagonisti dei recettori H2 sono farmaci che riducono la produzione di acido gastrico, favorendo la cicatrizzazione dell’ulcera.
  • Eliminare l’Helicobacter pylori (se presente): La terapia di eradicazione di H. pylori prevede l’uso di una combinazione di antibiotici e un PPI, in genere per 7-14 giorni.
  • Prevenire le recidive: Modifiche dello stile di vita, come smettere di fumare, limitare l’alcol, evitare i FANS e gestire lo stress, sono importanti per prevenire la formazione di nuove ulcere.

Farmaci:

  • Inibitori della pompa protonica (PPI): Omeprazolo, lansoprazolo, esomeprazolo, pantoprazolo, rabeprazolo.
  • Antagonisti dei recettori H2: Ranitidina, famotidina, cimetidina, nizatidina.
  • Antiacidi: Idrossido di alluminio, idrossido di magnesio, carbonato di calcio.
  • Protettori della mucosa: Sucralfato, bismuto.
  • Antibiotici: Amoxicillina, claritromicina, metronidazolo, tetraciclina.

Chirurgia:

La chirurgia è raramente necessaria per l’ulcera peptica. Può essere considerata in caso di:

  • Ulcere non responsive al trattamento farmacologico
  • Complicanze, come sanguinamento, perforazione o ostruzione
  • Sindrome di Zollinger-Ellison

SINDROME DELL’INTESTINO IRRITABILE (IBS)

L’IBS, o Sindrome dell’Intestino Irritabile, è un disturbo funzionale cronico che colpisce l’intestino crasso. “Funzionale” significa che non ci sono anomalie strutturali o infiammazioni visibili nell’intestino, ma il suo funzionamento è alterato.

Sebbene non sia una condizione pericolosa, l’IBS può causare sintomi fastidiosi e impattare negativamente sulla qualità della vita.

Sintomi:

I sintomi dell’IBS possono variare da persona a persona e fluttuare nel tempo. I più comuni includono:

    • Dolore addominale:
      • È spesso crampiforme o colico.
      • Può essere localizzato in diverse aree dell’addome.
      • Tende a migliorare dopo l’evacuazione.
      • Può peggiorare in periodi di stress.
    • Alterazioni dell’alvo:
      • Diarrea: feci liquide e frequenti.
      • Stipsi: difficoltà o infrequenza nell’evacuazione delle feci.
      • Alternanza di diarrea e stipsi.
    • Gonfiore addominale: Sensazione di pienezza e distensione dell’addome, spesso associata a flatulenza.
    • Muco nelle feci: Presenza di una sostanza vischiosa e trasparente nelle feci.
    • Sensazione di evacuazione incompleta: Sensazione di non aver svuotato completamente l’intestino dopo la defecazione.

Altri possibili sintomi:

    • Stanchezza
    • Mal di testa
    • Nausea
    • Dolore alla schiena
    • Ansia e depressione

Cause:

Le cause dell’IBS non sono ancora completamente comprese, ma si ritiene che siano coinvolti diversi fattori:

    • Alterazioni della motilità intestinale: Le contrazioni muscolari dell’intestino possono essere troppo forti o troppo deboli, causando diarrea o stipsi.
    • Ipersensibilità viscerale: L’intestino delle persone con IBS può essere più sensibile al dolore rispetto alle persone senza IBS.
    • Fattori psicologici: Stress, ansia e depressione possono peggiorare i sintomi dell’IBS.
    • Alterazioni della flora batterica intestinale (microbiota): Uno squilibrio nella composizione dei batteri intestinali può contribuire ai sintomi dell’IBS.
    • Fattori genetici: L’IBS può avere una componente familiare.
    • Alimentazione: Alcuni alimenti possono scatenare o peggiorare i sintomi in alcune persone con IBS.

Diagnosticare la Sindrome dell’Intestino Irritabile (IBS) può essere un processo che richiede un po’ di tempo e pazienza, poiché non esiste un test specifico per identificarla. Il medico si baserà principalmente su una combinazione di fattori per arrivare alla diagnosi. Ecco i passaggi più comuni:

1. Analisi della storia clinica e dei sintomi:

Il medico inizierà con un colloquio approfondito per raccogliere informazioni dettagliate sulla tua storia clinica e sui sintomi che manifesti. Ti chiederà di descrivere:

    • Tipo di dolore addominale: Come lo percepisci (crampiforme, colico, continuo), dove si localizza, con quale frequenza si presenta, quanto dura e se ci sono fattori che lo alleviano o lo peggiorano.
    • Caratteristiche dell’alvo: Se soffri di diarrea, stipsi o un’alternanza di entrambe, con quale frequenza e consistenza sono le tue evacuazioni, se noti la presenza di muco nelle feci.
    • Altri sintomi: Se sono presenti sintomi come gonfiore addominale, senso di evacuazione incompleta, nausea, mal di testa, stanchezza.
    • Stile di vita: Abitudini alimentari, livello di attività fisica, capacità di gestione dello stress.
    • Eventuali fattori scatenanti: Se hai notato che alcuni alimenti, periodi di stress o l’assunzione di determinati farmaci influenzano i tuoi sintomi.
    • Storia familiare: Se ci sono casi di IBS o altre malattie gastrointestinali in famiglia.

2. Esame obiettivo:

Il medico eseguirà un esame fisico completo, con particolare attenzione alla palpazione dell’addome per valutare la presenza di eventuali aree dolenti, masse o distensione.

3. Criteri diagnostici di Roma IV:

Per standardizzare la diagnosi di IBS, i medici utilizzano i criteri diagnostici di Roma IV. Questi criteri si basano sulla presenza di dolore addominale ricorrente associato ad alterazioni dell’alvo (diarrea, stipsi o un’alternanza di entrambe), per almeno 3 giorni al mese negli ultimi 3 mesi, con esordio dei sintomi almeno 6 mesi prima della diagnosi.

4. Esami di laboratorio:

Per escludere altre condizioni che possono presentare sintomi simili all’IBS, il medico può richiedere alcuni esami di laboratorio:

    • Esami del sangue: Per valutare la presenza di anemia, infiammazione, celiachia o altre malattie.
    • Esami delle feci: Per ricercare sangue occulto, infezioni (batteri, virus, parassiti) o infiammazioni.
    • Test per le intolleranze alimentari: Come il breath test per l’intolleranza al lattosio.

5. Esami strumentali:

In alcuni casi, per escludere altre patologie, possono essere necessari esami strumentali come:

    • Colonscopia: Per visualizzare l’interno del colon e prelevare eventuali biopsie. È consigliata in presenza di sintomi di allarme, come sangue nelle feci, perdita di peso o anemia, o in persone con età superiore ai 50 anni.
    • Gastroscopia: Per visualizzare l’esofago, lo stomaco e il duodeno.
    • Ecografia addominale: Per valutare gli organi addominali.

Il trattamento per l’IBS (Sindrome dell’Intestino Irritabile) si concentra sulla gestione dei sintomi e sul miglioramento della qualità della vita, dato che non esiste una cura definitiva. Le opzioni di trattamento includono modifiche dello stile di vita, terapia farmacologica e supporto psicologico.

1. Modifiche dello stile di vita:

Spesso, apportare cambiamenti nello stile di vita può aiutare a controllare i sintomi dell’IBS. Ecco alcuni consigli:

    • Dieta:
      • Aumentare l’apporto di fibre: Le fibre aiutano a regolarizzare l’alvo, sia in caso di diarrea che di stipsi. Assumi gradualmente fibre solubili (frutta, verdura, avena, legumi) per evitare gonfiore e gas.
      • Seguire una dieta a basso contenuto di FODMAP: I FODMAP sono carboidrati a catena corta che possono fermentare nell’intestino, causando gonfiore e dolore addominale. Alimenti ad alto contenuto di FODMAP includono alcuni tipi di frutta, verdura, latticini e cereali. Un dietologo può aiutarti a seguire una dieta a basso contenuto di FODMAP.
      • Idratarsi adeguatamente: Bere molta acqua aiuta a prevenire la stipsi.
      • Mangiare pasti regolari: Evita di saltare i pasti e cerca di mangiare allo stesso orario ogni giorno.
      • Masticare bene il cibo: La digestione inizia in bocca.
      • Identificare i cibi trigger: Tieni un diario alimentare per identificare eventuali alimenti che scatenano o peggiorano i tuoi sintomi.
    • Attività fisica:
      • L’esercizio fisico regolare aiuta a migliorare la motilità intestinale e a ridurre lo stress.
    • Gestione dello stress:
      • Lo stress può peggiorare i sintomi dell’IBS. Pratica tecniche di rilassamento come yoga, meditazione o esercizi di respirazione.

2. Terapia farmacologica:

Se le modifiche dello stile di vita non sono sufficienti, il medico può prescrivere farmaci per controllare i sintomi specifici:

    • Antidiarroici: Loperamide, difenossilato/atropina.
    • Lassativi: Psillio, macrogol, lattulosio.
    • Antispastici: Mebeverina, otilonio bromuro, pinaverio bromuro.
    • Antidepressivi a basso dosaggio: Amitriptilina, imipramina, citalopram, escitalopram. Possono aiutare a ridurre il dolore addominale e migliorare i sintomi dell’IBS.
    • Altri farmaci: Alosetron (per la diarrea grave), lubiprostone (per la stipsi cronica), rifaximina (antibiotico per ridurre la sovracrescita batterica).

Adottare uno stile di vita sano è fondamentale per gestire i sintomi dell’IBS (Sindrome dell’Intestino Irritabile). Ecco alcuni cambiamenti che possono fare la differenza:

Alimentazione:

    • Aumentare l’apporto di fibre: Le fibre, soprattutto quelle solubili (presenti in frutta, verdura, avena, legumi), aiutano a regolarizzare l’alvo, sia in caso di diarrea che di stipsi. È importante aumentare gradualmente l’assunzione di fibre per evitare gonfiore e gas.
    • Seguire una dieta a basso contenuto di FODMAP: I FODMAP sono carboidrati a catena corta che possono fermentare nell’intestino, causando gonfiore, dolore addominale e alterazioni dell’alvo. Alcuni alimenti ad alto contenuto di FODMAP includono frumento, latte, cipolle, aglio, mele, pere e miele. Un dietologo può aiutarti a identificare gli alimenti da limitare e a seguire una dieta a basso contenuto di FODMAP.
    • Idratarsi adeguatamente: Bere molta acqua (almeno 2 litri al giorno) aiuta a prevenire la stipsi e a mantenere l’intestino idratato.
    • Mangiare pasti regolari: Cerca di fare colazione, pranzo e cena a orari regolari, evitando di saltare i pasti.
    • Masticare bene il cibo: Una buona masticazione facilita la digestione.
    • Limitare i cibi grassi: I cibi grassi possono peggiorare i sintomi dell’IBS, soprattutto la diarrea.
    • Evitare cibi e bevande che irritano l’intestino: Come caffè, alcolici, bevande gassate e cibi piccanti.
    • Identificare i cibi trigger: Tieni un diario alimentare per identificare eventuali alimenti che scatenano o peggiorano i tuoi sintomi.

DIVERTICOLITE

La diverticolite è una condizione che colpisce l’intestino crasso, in particolare il colon. Per capire la diverticolite, bisogna prima parlare della diverticolosi.

    • Diverticolosi: Con l’avanzare dell’età, la parete del colon può indebolirsi e formare piccole sacche sporgenti verso l’esterno, chiamate diverticoli. La presenza di questi diverticoli è chiamata diverticolosi.
    • Diverticolite: Quando uno o più diverticoli si infiammano o si infettano, si parla di diverticolite.

Sintomi:

I sintomi della diverticolite possono variare da lievi a gravi, a seconda della gravità dell’infiammazione. I più comuni includono:

    • Dolore addominale:
      • Spesso localizzato nella parte inferiore sinistra dell’addome.
      • Può essere costante o intermittente.
      • Può peggiorare dopo i pasti.
    • Febbre: Può essere presente in caso di infezione.
    • Nausea e vomito: Sensazione di malessere allo stomaco che può essere accompagnata da emissione di contenuto gastrico.
    • Cambiamenti nelle abitudini intestinali:
      • Diarrea o stipsi.
      • Sangue nelle feci (in alcuni casi).
    • Sensibilità addominale: Dolore alla palpazione dell’addome.
    • Gonfiore addominale: Sensazione di pienezza e distensione dell’addome.
    • Brividi: Sensazione di freddo con tremore.
    • Perdita di appetito: Mancanza di desiderio di mangiare.

La diagnosi e il trattamento della diverticolite sono importanti per alleviare i sintomi, prevenire le complicanze e migliorare la qualità della vita. Ecco come si procede:

Diagnosi:

  1. Anamnesi ed esame obiettivo: Il medico raccoglierà informazioni sui tuoi sintomi, la storia clinica, le abitudini alimentari e l’eventuale uso di farmaci. L’esame fisico può includere la palpazione dell’addome per individuare eventuali aree dolenti o masse.

  2. Esami del sangue: Possono essere prescritti per valutare la presenza di infezione o infiammazione, come un aumento dei globuli bianchi o della proteina C-reattiva.

  3. Esami di imaging:

    • TAC addominale: È l’esame più accurato per diagnosticare la diverticolite. Permette di visualizzare l’intestino e individuare eventuali infiammazioni, ascessi, perforazioni o fistole.
    • Ecografia addominale: Può essere utilizzata come primo esame di imaging, ma la TAC è generalmente preferita per la sua maggiore accuratezza.
    • Colonscopia: Generalmente non viene eseguita durante un episodio acuto di diverticolite a causa del rischio di perforazione. Può essere eseguita dopo la risoluzione dell’infiammazione per valutare l’estensione della malattia e escludere altre condizioni, come il cancro del colon-retto.

Trattamento:

Il trattamento della diverticolite dipende dalla gravità dei sintomi e dalla presenza di complicanze.

Diverticolite non complicata (lieve):

    • Riposo intestinale: Inizialmente, può essere necessario seguire una dieta liquida o a basso contenuto di fibre per ridurre l’attività intestinale e favorire la guarigione.
    • Antibiotici: Per trattare l’infezione. Gli antibiotici comunemente usati includono ciprofloxacina, metronidazolo, amoxicillina/clavulanato.
    • Farmaci per il dolore: Per alleviare il dolore addominale. Possono essere utilizzati antidolorifici da banco, come paracetamolo o ibuprofene, o antidolorifici più potenti, se necessario.
    • Idratazione: Bere molta acqua aiuta a prevenire la disidratazione.

Diverticolite complicata (grave):

    • Ricovero ospedaliero: Potrebbe essere necessario il ricovero in ospedale per somministrare antibiotici per via endovenosa, liquidi e monitorare le condizioni del paziente.
    • Drenaggio di ascessi: Se è presente un ascesso, potrebbe essere necessario drenarlo per via percutanea (attraverso la pelle) o chirurgicamente.
    • Chirurgia: L’intervento chirurgico può essere necessario in caso di:
      • Peritonite (infiammazione del peritoneo)
      • Perforazione
      • Ostruzione intestinale
      • Fistola
      • Sanguinamento non controllabile
      • Diverticolite ricorrente

Prevenzione:

    • Dieta ricca di fibre: Una dieta ricca di fibre (frutta, verdura, cereali integrali, legumi) aiuta a prevenire la formazione di diverticoli e a mantenere l’intestino sano.
    • Idratazione: Bere molta acqua aiuta a prevenire la stipsi, che può contribuire alla formazione di diverticoli.
    • Attività fisica: L’esercizio fisico regolare favorisce la motilità intestinale.
    • Controllo del peso: Il sovrappeso e l’obesità aumentano il rischio di diverticolite.

La diverticolite, se non trattata adeguatamente, può portare a diverse complicanze, alcune delle quali possono essere gravi. Ecco le più comuni:

1. Ascesso:

    • Si forma quando il pus si raccoglie all’interno o intorno al diverticolo infiammato.
    • Può causare dolore addominale intenso, febbre alta e brividi.
    • Richiede spesso il drenaggio, che può essere eseguito per via percutanea (attraverso la pelle) o chirurgicamente.

2. Perforazione:

    • È una complicanza grave che si verifica quando il diverticolo si rompe, causando la fuoriuscita di contenuto intestinale nella cavità addominale.
    • Può portare a peritonite, un’infiammazione del peritoneo (la membrana che riveste la cavità addominale) che può essere pericolosa per la vita.
    • Richiede un intervento chirurgico d’urgenza.

3. Fistola:

    • Si forma un canale anomalo che collega il colon ad un altro organo, come la vescica (fistola colo-vescicale), la vagina (fistola colo-vaginale) o l’intestino tenue (fistola colo-enterica).
    • Può causare sintomi come passaggio di aria o feci nelle urine o nella vagina, infezioni urinarie ricorrenti o dolore pelvico.
    • Richiede spesso un intervento chirurgico per la correzione.

4. Ostruzione intestinale:

    • L’infiammazione e la cicatrizzazione causate dalla diverticolite possono portare a un restringimento del colon (stenosi), che può ostacolare il passaggio delle feci.
    • Può causare dolore addominale, gonfiore, nausea, vomito e stipsi.
    • Può richiedere un intervento chirurgico per rimuovere la parte ostruita del colon.

5. Sanguinamento:

    • Un diverticolo infiammato può sanguinare, causando la presenza di sangue rosso vivo nelle feci (emorragia diverticolare).
    • Il sanguinamento è solitamente lieve e si risolve spontaneamente, ma in alcuni casi può essere grave e richiedere un intervento medico o chirurgico.

6. Peritonite:

    • È un’infiammazione del peritoneo, la membrana che riveste la cavità addominale.
    • Può essere causata dalla perforazione di un diverticolo o dalla diffusione dell’infezione.
    • È una condizione grave che può essere pericolosa per la vita.
    • Richiede un intervento chirurgico d’urgenza e terapia antibiotica.

Fattori che aumentano il rischio di complicanze:

    • Età avanzata
    • Diabete
    • Malattie croniche, come malattie cardiache o polmonari
    • Uso di farmaci immunosoppressori
    • Diverticolite ricorrente

CELIACHIA

La celiachia è una malattia autoimmune cronica scatenata dall’ingestione di glutine in individui geneticamente predisposti.

I principali fattori coinvolti nell’eziologia della celiachia sono:

1. Predisposizione genetica:

  • La celiachia ha una forte componente genetica.
  • I geni più fortemente associati alla celiachia sono HLA-DQ2 e HLA-DQ8, che codificano per proteine coinvolte nella presentazione degli antigeni al sistema immunitario.
  • Circa il 95% delle persone con celiachia possiede almeno uno di questi geni, ma solo una piccola percentuale di persone con questi geni sviluppa la malattia.

2. Glutine:

  • Il glutine è una proteina presente in alcuni cereali come grano, orzo e segale.
  • In soggetti predisposti, l’ingestione di glutine scatena una risposta immunitaria anomala nell’intestino tenue.
  • Il sistema immunitario riconosce erroneamente il glutine come una sostanza estranea e lo attacca, causando infiammazione e danni alla mucosa intestinale.

3. Fattori ambientali:

  • Alcuni fattori ambientali possono contribuire allo sviluppo della celiachia in soggetti geneticamente predisposti. Tra questi:
    • Infezioni intestinali: Alcune infezioni, come quelle da rotavirus, possono aumentare il rischio di celiachia.
    • Allattamento al seno: L’allattamento al seno sembra avere un effetto protettivo contro la celiachia.
    • Introduzione del glutine nella dieta: Il momento e il modo in cui il glutine viene introdotto nella dieta del bambino possono influenzare il rischio di sviluppare la celiachia.
    • Microbiota intestinale: Alterazioni nella composizione della flora batterica intestinale possono contribuire allo sviluppo della celiachia.
    • Altri fattori: Stress, interventi chirurgici, gravidanza e altre condizioni possono influenzare il sistema immunitario e aumentare il rischio di celiachia.

Sintomi:

I sintomi della celiachia sono molto variabili e possono differire da persona a persona. Alcuni individui possono essere asintomatici o presentare sintomi lievi, mentre altri possono manifestare sintomi più gravi.

I sintomi più comuni negli adulti includono:

  • Disturbi gastrointestinali:
    • Diarrea cronica
    • Dolore addominale
    • Gonfiore addominale
    • Perdita di peso
    • Nausea e vomito
    • Stipsi
    • Feci maleodoranti e pallide
  • Sintomi extra-intestinali:
    • Anemia da carenza di ferro
    • Stanchezza cronica
    • Debolezza
    • Osteoporosi
    • Dermatite erpetiforme (eruzione cutanea pruriginosa)
    • Afte ricorrenti
    • Disturbi neurologici (come neuropatia periferica)
    • Depressione e ansia
    • Infertilità e aborti spontanei

Nei bambini, i sintomi possono includere:

    • Ritardo nella crescita
    • Distensione addominale
    • Diarrea cronica
    • Vomito
    • Irritabilità
    • Perdita di appetito

Sintomi atipici:

Alcune persone con celiachia possono presentare sintomi atipici o extra-intestinali senza manifestare sintomi gastrointestinali evidenti. Questo può rendere la diagnosi più difficile.

La diagnosi di celiachia è un processo che coinvolge diversi passaggi, volti a valutare la presenza di sintomi, predisposizione genetica e danno intestinale correlato al glutine. Ecco gli step principali:

1. Anamnesi ed esame obiettivo:

Il medico inizierà con un colloquio dettagliato per raccogliere informazioni sulla tua storia clinica, inclusi i sintomi, la storia familiare di celiachia, le abitudini alimentari e l’eventuale presenza di altre condizioni mediche. L’esame obiettivo può includere la palpazione dell’addome per valutare la presenza di gonfiore o dolorabilità.

2. Esami del sangue:

  • Ricerca di anticorpi specifici: Gli esami del sangue sono fondamentali per la diagnosi di celiachia e vengono effettuati prima di iniziare una dieta senza glutine. Si ricercano anticorpi specifici che indicano una reazione autoimmune al glutine:
    • Anticorpi anti-transglutaminasi tissutale (tTG) IgA: Sono gli anticorpi più sensibili e specifici per la celiachia.
    • Anticorpi anti-endomisio (EMA) IgA: Sono altamente specifici per la celiachia.
    • Anticorpi anti-gliadina deamidati (DGP) IgA e IgG: Possono essere utili in alcuni casi, ma sono meno specifici rispetto a tTG e EMA.
  • Dosaggio delle IgA totali: È importante dosare le IgA totali perché un deficit di IgA può dare falsi negativi negli esami per gli anticorpi specifici.
  • Altri esami del sangue: Possono essere prescritti per valutare la presenza di anemia, carenze nutrizionali o altre condizioni associate alla celiachia.

3. Biopsia duodenale:

  • La biopsia duodenale è considerata il gold standard per la diagnosi di celiachia.
  • Viene eseguita durante una gastroscopia. Un tubo sottile e flessibile con una telecamera viene inserito attraverso la bocca fino al duodeno (prima parte dell’intestino tenue). Durante la procedura, vengono prelevati piccoli campioni di tessuto duodenale per essere analizzati al microscopio.
  • L’esame istologico della biopsia permette di valutare la presenza di atrofia dei villi intestinali, un segno caratteristico della celiachia.

4. Test genetici:

  • La ricerca dei geni HLA-DQ2 e HLA-DQ8 può essere utile per escludere la celiachia in persone con sintomi dubbi o con esami sierologici negativi. Tuttavia, la presenza di questi geni non è sufficiente per fare diagnosi, poiché sono presenti anche in una parte della popolazione sana.

Al momento, l’unico trattamento efficace per la celiachia è una dieta rigorosamente senza glutine per tutta la vita.

Questo significa eliminare completamente dalla propria alimentazione tutti gli alimenti che contengono glutine, come:

  • Grano (frumento, farro, kamut, spelta, triticale)
  • Orzo
  • Segale
  • Avena (a meno che non sia certificata senza glutine)

Eliminare il glutine dalla dieta permette:

  • La guarigione della mucosa intestinale e il ripristino dell’assorbimento dei nutrienti.
  • La scomparsa dei sintomi, sia gastrointestinali che extra-intestinali.
  • La prevenzione di complicanze a lungo termine, come l’osteoporosi, l’infertilità e alcune forme di cancro.

Seguire una dieta senza glutine richiede attenzione e impegno:

  • Leggere attentamente le etichette degli alimenti: Imparare a riconoscere gli ingredienti che contengono glutine e a individuare eventuali contaminazioni crociate.
  • Scegliere alimenti naturalmente senza glutine: Come frutta, verdura, carne, pesce, uova, legumi, riso, mais e quinoa.
  • Prestare attenzione alla contaminazione crociata: Evitare il contatto tra alimenti senza glutine e alimenti contenenti glutine durante la preparazione, la cottura e la conservazione.
  • Informarsi sui ristoranti e sugli alimenti confezionati: Assicurarsi che i ristoranti offrano opzioni senza glutine e che gli alimenti confezionati siano certificati senza glutine.

EPATITE – CIRROSI EPATICA – CALCOLI BILIARI

L’epatite è un’infiammazione del fegato. Può essere causata da diversi fattori, tra cui infezioni virali, abuso di alcol, farmaci, malattie autoimmuni e disturbi metabolici.

Esistono diversi tipi di epatite, classificati in base alla causa e alla durata dell’infiammazione:

1. Epatiti virali:

Sono causate da virus che infettano specificamente il fegato. I tipi più comuni sono:

    • Epatite A (HAV):
      • Si trasmette principalmente per via oro-fecale, attraverso l’ingestione di cibo o acqua contaminati.
      • Generalmente causa un’infezione acuta e autolimitante, che si risolve spontaneamente senza lasciare danni permanenti al fegato.
      • È disponibile un vaccino efficace per prevenire l’epatite A.
    • Epatite B (HBV):
      • Si trasmette attraverso il contatto con sangue o fluidi corporei infetti (rapporti sessuali non protetti, condivisione di aghi, trasmissione materno-fetale).
      • Può causare un’infezione acuta o cronica.
      • L’infezione cronica può portare a cirrosi epatica e cancro del fegato.
      • È disponibile un vaccino efficace per prevenire l’epatite B.
    • Epatite C (HCV):
      • Si trasmette principalmente attraverso il contatto con sangue infetto (condivisione di aghi, trasfusioni di sangue non controllate).
      • Può causare un’infezione acuta o cronica.
      • L’infezione cronica può portare a cirrosi epatica e cancro del fegato.
      • Esistono farmaci antivirali efficaci per curare l’epatite C.
    • Epatite D (HDV):
      • Si verifica solo in persone già infette da epatite B.
      • Può peggiorare il decorso dell’epatite B e aumentare il rischio di complicanze.
    • Epatite E (HEV):
      • Si trasmette principalmente per via oro-fecale, simile all’epatite A.
      • Generalmente causa un’infezione acuta e autolimitante.
      • Può essere più grave nelle donne in gravidanza.

2. Epatiti non virali:

Sono causate da fattori diversi dai virus, come:

    • Abuso di alcol: L’alcol è tossico per il fegato e può causare infiammazione e danni progressivi, fino alla cirrosi epatica.
    • Steatosi epatica non alcolica (NAFLD): Accumulo di grasso nel fegato, spesso associato a obesità, diabete e iperlipidemia.
    • Farmaci: Alcuni farmaci possono causare epatite come effetto collaterale.
    • Malattie autoimmuni: Il sistema immunitario può attaccare erroneamente le cellule del fegato, causando epatite autoimmune.
    • Disturbi metabolici: Come l’emocromatosi (accumulo di ferro) e la malattia di Wilson (accumulo di rame).

La trasmissione dell’epatite dipende dal tipo specifico di virus che la causa. Ecco le principali vie di trasmissione per i tipi più comuni di epatite:

Epatite A (HAV):

    • Via oro-fecale: Si trasmette principalmente attraverso l’ingestione di cibo o acqua contaminati da feci infette.
      • Ciò può accadere in situazioni di scarsa igiene, come il consumo di frutti di mare crudi provenienti da acque contaminate, o in aree con scarse condizioni igienico-sanitarie.
      • Il virus può essere trasmesso anche attraverso il contatto diretto con una persona infetta, ad esempio attraverso la condivisione di utensili o oggetti personali contaminati.

Epatite B (HBV):

    • Contatto con sangue o fluidi corporei infetti:
      • Rapporti sessuali non protetti con una persona infetta.
      • Condivisione di aghi o siringhe contaminate (ad esempio tra persone che fanno uso di droghe iniettive).
      • Trasmissione da madre a figlio durante il parto.
      • Contatto con sangue infetto attraverso ferite aperte o lesioni cutanee.
      • Utilizzo di strumenti per manicure/pedicure non sterilizzati.
      • Pratiche mediche o odontoiatriche con strumenti non sterilizzati.

Epatite C (HCV):

    • Contatto con sangue infetto:
      • Condivisione di aghi o siringhe contaminate.
      • Trasfusioni di sangue o trapianti di organi prima del 1992 (quando non venivano effettuati screening per HCV).
      • Procedure mediche o estetiche con strumenti non sterilizzati (piercing, tatuaggi).
      • Trasmissione da madre a figlio durante il parto (meno comune rispetto all’epatite B).
      • Rapporti sessuali non protetti (il rischio è inferiore rispetto all’epatite B, ma aumenta in caso di rapporti a rischio o con più partner).

Epatite D (HDV):

    • Contatto con sangue infetto: Si trasmette in modo simile all’epatite B, ma solo in persone già infette da HBV.

Epatite E (HEV):

    • Via oro-fecale: Simile all’epatite A, si trasmette principalmente attraverso l’ingestione di acqua o cibo contaminati.

Prevenzione:

    • Vaccinazione: Esistono vaccini efficaci per prevenire l’epatite A e B.
    • Igiene: Lavarsi le mani frequentemente, soprattutto dopo aver usato il bagno, prima di cucinare e mangiare, e dopo aver toccato superfici potenzialmente contaminate.
    • Rapporti sessuali protetti: Utilizzare il preservativo durante i rapporti sessuali.
    • Non condividere oggetti personali: Come spazzolini da denti, rasoi e aghi.
    • Prestare attenzione a procedure mediche e estetiche: Assicurarsi che gli strumenti utilizzati siano sterilizzati.
    • Bere acqua sicura: Bere solo acqua potabile o acqua che è stata bollita o disinfettata.
    • Cucinare accuratamente i cibi: Soprattutto carne, pesce e frutti di mare.

I sintomi dell’epatite possono variare molto a seconda del tipo di epatite, della sua gravità e dello stato di salute generale della persona. Alcune persone, specialmente nella fase iniziale dell’infezione, potrebbero non presentare alcun sintomo.

Sintomi comuni:

    • Affaticamento: Sensazione di stanchezza persistente e mancanza di energia.
    • Malessere generale: Sensazione di malessere diffuso.
    • Perdita di appetito: Mancanza di desiderio di mangiare.
    • Nausea e vomito: Sensazione di malessere allo stomaco che può essere accompagnata da emissione di contenuto gastrico.
    • Dolore addominale: Spesso localizzato nella parte superiore destra dell’addome, dove si trova il fegato.
    • Febbre: Può essere presente, soprattutto nelle fasi iniziali dell’infezione.
    • Dolori muscolari e articolari: Dolori diffusi.
    • Ittero: Colorazione giallastra della pelle e della parte bianca degli occhi, causata dall’accumulo di bilirubina nel sangue.
    • Urine scure: Causate dalla presenza di bilirubina nelle urine.
    • Feci chiare: Causate dalla mancanza di bilirubina nelle feci.
    • Prurito: Può essere causato dall’accumulo di bilirubina nella pelle.

Sintomi meno comuni:

    • Epatomegalia: Ingrossamento del fegato, che può essere palpabile all’esame obiettivo.
    • Splenomegalia: Ingrossamento della milza.
    • Ascite: Accumulo di liquido nella cavità addominale.
    • Encefalopatia epatica: Alterazione della funzione cerebrale causata da un’insufficienza epatica grave.

Sintomi specifici per alcuni tipi di epatite:

    • Epatite A: Spesso si manifesta con sintomi simil-influenzali, come febbre, mal di gola, dolori muscolari e mal di testa.
    • Epatite B e C: Possono essere asintomatiche per molti anni, fino a quando non si sviluppano danni al fegato, come la cirrosi epatica.

La diagnosi e il trattamento dell’epatite dipendono dal tipo specifico di epatite, dalla sua gravità e dallo stato di salute generale del paziente. Ecco un percorso generale:

Diagnosi:

  1. Anamnesi ed esame obiettivo: Il medico raccoglierà informazioni sulla tua storia clinica, i sintomi, l’eventuale esposizione a fattori di rischio (contatto con sangue o fluidi corporei infetti, abuso di alcol, uso di farmaci) e le abitudini di vita. L’esame fisico può includere la palpazione dell’addome per valutare le dimensioni e la consistenza del fegato.

  2. Esami del sangue:

    • Test di funzionalità epatica: Misurano i livelli di enzimi epatici (come AST e ALT), bilirubina e altri parametri per valutare la funzionalità del fegato.
    • Test sierologici: Ricercano la presenza di antigeni e anticorpi specifici per i diversi tipi di virus dell’epatite (HAV, HBV, HCV, HDV, HEV).
    • Altri esami del sangue: Possono essere utili per valutare la presenza di altre condizioni, come anemia, disturbi della coagulazione o infezioni.
  3. Esami di imaging:

    • Ecografia addominale: Permette di visualizzare il fegato e le vie biliari, valutare le dimensioni e la struttura del fegato e identificare eventuali anomalie.
    • TAC addominale: Può essere utile per ottenere immagini più dettagliate del fegato e degli organi circostanti.
    • Risonanza magnetica (RM) addominale: Può essere utilizzata in casi specifici per valutare il fegato e le vie biliari.
  4. Biopsia epatica:

    • In alcuni casi, può essere necessaria una biopsia epatica per analizzare un campione di tessuto epatico al microscopio. Questo esame permette di valutare il grado di infiammazione e fibrosi del fegato, e di identificare la causa dell’epatite.

Trattamento:

Il trattamento dell’epatite varia a seconda della causa e può includere:

Epatite virale:

    • Epatite A: Generalmente non richiede un trattamento specifico, poiché l’infezione si risolve spontaneamente nella maggior parte dei casi. Il riposo e l’idratazione sono importanti per favorire la guarigione.
    • Epatite B: Il trattamento dell’epatite B cronica può includere farmaci antivirali per sopprimere la replicazione del virus e prevenire danni al fegato.
    • Epatite C: Esistono farmaci antivirali ad azione diretta (DAA) molto efficaci per curare l’epatite C.
    • Epatite D: Non esiste un trattamento specifico per l’epatite D, ma il trattamento dell’epatite B può aiutare a controllare l’infezione.
    • Epatite E: Generalmente non richiede un trattamento specifico, ma il riposo e l’idratazione sono importanti.

Epatite non virale:

    • Epatite alcolica: L’astensione dall’alcol è fondamentale per la guarigione.
    • Steatosi epatica non alcolica (NAFLD): La perdita di peso, una dieta sana e l’esercizio fisico sono importanti per migliorare la condizione.
    • Epatite autoimmune: Il trattamento può includere corticosteroidi o immunosoppressori per ridurre l’infiammazione.
    • Epatite da farmaci: La sospensione del farmaco responsabile è il primo passo.

In tutti i casi di epatite:

    • Riposo: È importante riposare a sufficienza per favorire la guarigione.
    • Idratazione: Bere molta acqua aiuta a eliminare le tossine e a mantenere il fegato idratato.
    • Dieta sana: Seguire una dieta equilibrata, povera di grassi e ricca di frutta e verdura.
    • Evitare l’alcol: L’alcol è tossico per il fegato e può peggiorare l’infiammazione.
    • Evitare farmaci non necessari: Alcuni farmaci possono essere dannosi per il fegato.

Trapianto di fegato:

Nei casi di epatite cronica grave che ha portato a cirrosi epatica o insufficienza epatica, il trapianto di fegato può essere l’unica opzione terapeutica.

La cirrosi epatica è una malattia cronica e progressiva del fegato che si verifica quando il tessuto sano del fegato viene sostituito da tessuto cicatriziale (fibrosi). Questo processo di cicatrizzazione compromette la struttura e la funzione del fegato, impedendogli di svolgere correttamente le sue numerose funzioni vitali, come la filtrazione del sangue, la produzione di bile, la sintesi di proteine e il metabolismo di farmaci e sostanze nutritive.

Cause:

Le cause della cirrosi epatica sono molteplici, e spesso la malattia è il risultato di un danno epatico prolungato nel tempo. Le cause più comuni includono:

    • Epatite virale cronica: Le infezioni croniche da virus dell’epatite B e C sono tra le principali cause di cirrosi a livello mondiale.
    • Abuso di alcol: Il consumo eccessivo e prolungato di alcol è una delle cause più comuni di cirrosi, in quanto l’alcol è una sostanza tossica per il fegato.
    • Steatoepatite non alcolica (NAFLD) e steatoepatite associata a disfunzione metabolica (MASH): La NAFLD è una condizione in cui si accumula grasso nel fegato, che può progredire in steatoepatite (NASH), una forma di infiammazione cronica del fegato che può portare alla cirrosi. La MASH è una forma di steatoepatite associata a obesità, diabete di tipo 2 e altre condizioni metaboliche.
    • Malattie autoimmuni: In alcune malattie autoimmuni, il sistema immunitario attacca erroneamente le cellule del fegato, causando infiammazione cronica e cirrosi. Esempi includono l’epatite autoimmune e la colangite biliare primitiva.
    • Malattie genetiche: Alcune malattie genetiche, come l’emocromatosi (accumulo di ferro) e la malattia di Wilson (accumulo di rame), possono causare danni al fegato e cirrosi.
    • Malattie delle vie biliari: Ostruzioni o infiammazioni croniche delle vie biliari, come la colangite sclerosante primitiva, possono portare a danni al fegato e cirrosi.
    • Farmaci e tossine: L’esposizione a lungo termine a determinate sostanze tossiche, come alcuni farmaci, prodotti chimici industriali o veleni ambientali, può danneggiare il fegato e contribuire allo sviluppo della cirrosi.

Fattori di rischio:

    • Età avanzata
    • Sesso maschile
    • Obesità
    • Diabete di tipo 2
    • Iperlipidemia (livelli elevati di colesterolo e trigliceridi nel sangue)
    • Familiarità per malattie epatiche

I sintomi della cirrosi epatica possono variare notevolmente da persona a persona, e spesso nelle fasi iniziali la malattia è asintomatica. Quando i sintomi compaiono, possono essere aspecifici e comuni ad altre condizioni, rendendo la diagnosi precoce più difficile.

Ecco alcuni dei sintomi più comuni della cirrosi epatica:

Sintomi iniziali:

    • Affaticamento: Sensazione di stanchezza persistente e mancanza di energia.
    • Debolezza: Mancanza di forza fisica.
    • Perdita di appetito: Mancanza di desiderio di mangiare.
    • Perdita di peso: Diminuzione del peso corporeo non intenzionale.
    • Nausea e vomito: Sensazione di malessere allo stomaco che può essere accompagnata da emissione di contenuto gastrico.
    • Dolore addominale: Spesso localizzato nella parte superiore destra dell’addome, dove si trova il fegato.
    • Gonfiore addominale: Sensazione di pienezza e distensione dell’addome.

Sintomi in fase avanzata:

    • Ittero: Colorazione giallastra della pelle e della parte bianca degli occhi, causata dall’accumulo di bilirubina nel sangue.
    • Prurito: Può essere causato dall’accumulo di bilirubina nella pelle.
    • Ascite: Accumulo di liquido nella cavità addominale, che può causare gonfiore e difficoltà respiratorie.
    • Edema: Gonfiore alle gambe e alle caviglie, causato dall’accumulo di liquidi.
    • Sanguinamento gastrointestinale: Le varici esofagee (vene dilatate nell’esofago) possono rompersi e sanguinare, causando vomito con sangue o feci nere e catramose.
    • Encefalopatia epatica: Alterazione della funzione cerebrale causata dall’accumulo di tossine nel sangue, che non vengono più filtrate dal fegato. I sintomi possono includere confusione mentale, sonnolenza, disorientamento, tremori e coma.
    • Ginecomastia: Ingrossamento delle mammelle negli uomini, causato da squilibri ormonali.
    • Perdita di peli: Diminuzione della crescita di peli sul corpo.
    • Angiomi stellati: Piccole macchie rosse sulla pelle, causate dalla dilatazione dei capillari.
    • Eritema palmare: Arrossamento del palmo delle mani.

Quando consultare un medico:

È importante consultare un medico se si manifestano sintomi di cirrosi epatica, soprattutto se:

    • L’ittero è presente
    • Il dolore addominale è intenso
    • Si ha vomito persistente
    • Si nota sangue nel vomito o nelle feci
    • Si verifica un’improvvisa perdita di peso
    • Si ha gonfiore addominale o alle gambe
    • Si manifestano sintomi di encefalopatia epatica

La diagnosi precoce della cirrosi epatica è fondamentale per rallentare la progressione della malattia e gestire le complicanze. Ecco come si procede:

Diagnosi:

  1. Anamnesi ed esame obiettivo: Il medico raccoglierà informazioni sulla tua storia clinica, i sintomi, l’eventuale esposizione a fattori di rischio (epatite virale, abuso di alcol, malattie autoimmuni) e le abitudini di vita. L’esame fisico può includere la palpazione dell’addome per valutare le dimensioni e la consistenza del fegato, la presenza di ascite o altri segni di malattia epatica.

  2. Esami del sangue:

    • Test di funzionalità epatica: Misurano i livelli di enzimi epatici (come AST e ALT), bilirubina, albumina e altri parametri per valutare la funzionalità del fegato.
    • Test sierologici: Ricercano la presenza di virus dell’epatite (HBV, HCV) o anticorpi specifici per malattie autoimmuni.
    • Test di coagulazione: Valutano la capacità del sangue di coagulare, che può essere compromessa nella cirrosi.
    • Altri esami del sangue: Possono essere utili per valutare la presenza di altre condizioni, come anemia, infezioni o disturbi renali.
  3. Esami di imaging:

    • Ecografia addominale: Permette di visualizzare il fegato e le vie biliari, valutare le dimensioni e la struttura del fegato e identificare eventuali anomalie.
    • TAC addominale: Può essere utile per ottenere immagini più dettagliate del fegato e degli organi circostanti.
    • Risonanza magnetica (RM) addominale: Può essere utilizzata in casi specifici per valutare il fegato e le vie biliari.
    • Elastografia: Tecnica non invasiva che misura l’elasticità del fegato, utile per valutare il grado di fibrosi.
  4. Biopsia epatica:

    • In alcuni casi, può essere necessaria una biopsia epatica per analizzare un campione di tessuto epatico al microscopio. Questo esame permette di confermare la diagnosi di cirrosi, valutare il grado di fibrosi e identificare la causa sottostante.

Trattamento:

Non esiste una cura per la cirrosi epatica, ma il trattamento può rallentare la progressione della malattia, gestire le complicanze e migliorare la qualità della vita. Il trattamento dipende dalla causa e dalla gravità della cirrosi e può includere:

  • Trattamento della causa sottostante:
    • Epatite virale: farmaci antivirali
    • Abuso di alcol: astinenza completa dall’alcol
    • Steatoepatite non alcolica (NAFLD): perdita di peso, dieta sana, esercizio fisico
    • Malattie autoimmuni: corticosteroidi o immunosoppressori
  • Gestione delle complicanze:
    • Ascite: diuretici, paracentesi (drenaggio del liquido ascitico)
    • Encefalopatia epatica: lattulosio, antibiotici
    • Sanguinamento gastrointestinale: farmaci per ridurre la pressione portale, endoscopia per legare le varici esofagee
  • Supporto nutrizionale: Una dieta sana e un adeguato apporto calorico sono importanti per mantenere lo stato nutrizionale.
  • Trapianto di fegato: Nei casi di cirrosi avanzata con insufficienza epatica, il trapianto di fegato può essere l’unica opzione terapeutica.

La calcolosi biliare, o colelitiasi, è una condizione caratterizzata dalla presenza di calcoli all’interno della cistifellea. La cistifellea è un piccolo organo a forma di pera situato sotto il fegato che immagazzina la bile, un liquido prodotto dal fegato che aiuta nella digestione dei grassi.

I calcoli biliari si formano quando la bile contiene troppo colesterolo, bilirubina o sali biliari. Questi componenti possono aggregarsi e formare cristalli, che a loro volta si ingrandiscono e formano i calcoli. I calcoli possono essere di dimensioni variabili, da piccoli come un granello di sabbia a grandi come una pallina da golf.

Sintomi:

Molte persone con calcoli biliari non presentano sintomi. I calcoli “silenziosi” non richiedono trattamento. Tuttavia, quando un calcolo blocca il flusso della bile dalla cistifellea, possono manifestarsi i seguenti sintomi:

    • Dolore addominale:
      • È il sintomo più comune della calcolosi biliare.
      • Il dolore è spesso improvviso e intenso, localizzato nella parte superiore destra dell’addome, sotto le costole.
      • Può irradiarsi alla schiena o alla spalla destra.
      • Può durare da pochi minuti a diverse ore.
      • Spesso si manifesta dopo i pasti, soprattutto dopo pasti ricchi di grassi.
    • Nausea e vomito: Sensazione di malessere allo stomaco che può essere accompagnata da emissione di contenuto gastrico.
    • Febbre: Può essere presente in caso di infiammazione o infezione della cistifellea (colecistite).
    • Ittero: Colorazione giallastra della pelle e della parte bianca degli occhi, causata dall’accumulo di bilirubina nel sangue. Si verifica quando un calcolo blocca il dotto biliare comune.
    • Urine scure: Causate dalla presenza di bilirubina nelle urine.
    • Feci chiare: Causate dalla mancanza di bilirubina nelle feci.
    • Indigestione: Difficoltà a digerire i cibi, soprattutto quelli grassi.
    • Gonfiore addominale: Sensazione di pienezza e distensione dell’addome.

La diagnosi e il trattamento della calcolosi biliare dipendono dalla presenza e dalla gravità dei sintomi, nonché dalla presenza di eventuali complicanze.

Diagnosi:

  1. Anamnesi ed esame obiettivo: Il medico raccoglierà informazioni sui tuoi sintomi, la storia clinica, le abitudini alimentari e l’eventuale uso di farmaci. L’esame fisico può includere la palpazione dell’addome per individuare eventuali aree dolenti.

  2. Esami del sangue: Possono essere prescritti per valutare la funzionalità epatica e biliare, e per escludere altre condizioni. Gli esami del sangue possono includere:

    • Test di funzionalità epatica: Misurano i livelli di enzimi epatici (come AST e ALT), bilirubina e altri parametri.
    • Amilasi e lipasi: Per escludere una pancreatite.
    • Emocromo: Per valutare la presenza di infezione.
  3. Esami di imaging:

    • Ecografia addominale: È l’esame più comunemente utilizzato per diagnosticare la calcolosi biliare. Permette di visualizzare la cistifellea e i calcoli al suo interno.
    • Tomografia computerizzata (TC) addominale: Può essere utile per ottenere immagini più dettagliate della cistifellea e delle vie biliari.
    • Risonanza magnetica (RM) delle vie biliari: Può essere utilizzata per visualizzare i calcoli nei dotti biliari.
    • Colangiopancreatografia retrograda endoscopica (CPRE): È una procedura che combina l’endoscopia e la radiologia per visualizzare i dotti biliari e pancreatici. Può essere utilizzata per diagnosticare e trattare i calcoli nei dotti biliari.

Trattamento:

Calcolosi biliare asintomatica:

    • Nella maggior parte dei casi, i calcoli biliari asintomatici non richiedono trattamento.
    • Il medico può consigliare modifiche dello stile di vita, come una dieta sana e l’esercizio fisico, per prevenire la formazione di nuovi calcoli.

Calcolosi biliare sintomatica:

    • Colecistectomia laparoscopica: È il trattamento più comune per la calcolosi biliare sintomatica. È una procedura chirurgica mini-invasiva che prevede la rimozione della cistifellea.
    • Farmaci per dissolvere i calcoli: In alcuni casi, possono essere utilizzati farmaci per dissolvere i calcoli biliari, ma questa terapia è meno efficace della chirurgia e i calcoli possono riformarsi.
    • Litotrissia extracorporea ad onde d’urto (ESWL): È una procedura non invasiva che utilizza onde d’urto per frammentare i calcoli biliari. È raramente utilizzata.

Scelta del trattamento:

La scelta del trattamento dipende da diversi fattori, tra cui:

    • Presenza e gravità dei sintomi
    • Dimensioni e numero dei calcoli
    • Presenza di complicanze
    • Stato di salute generale del paziente

PANCREATITE

La pancreatite è un’infiammazione del pancreas, una ghiandola situata nell’addome superiore, dietro lo stomaco. Il pancreas produce enzimi digestivi che aiutano a scomporre il cibo e ormoni, come l’insulina, che regolano il livello di zucchero nel sangue.

Nella pancreatite, gli enzimi digestivi si attivano prematuramente all’interno del pancreas, invece che nell’intestino tenue, causando l’autodigestione del tessuto pancreatico. Questo processo infiammatorio può danneggiare il pancreas e gli organi circostanti.

Esistono due forme principali di pancreatite:

    • Pancreatite acuta: Insorge improvvisamente e di solito è di breve durata.
    • Pancreatite cronica: Si sviluppa gradualmente e può persistere per anni, causando danni permanenti al pancreas.

Cause:

Le cause più comuni di pancreatite sono:

    • Calcoli biliari: I calcoli biliari possono bloccare il dotto pancreatico, impedendo il deflusso degli enzimi digestivi dal pancreas e causando l’infiammazione.
    • Abuso di alcol: Il consumo eccessivo di alcol è un importante fattore di rischio per la pancreatite, soprattutto quella cronica.
    • Altre cause:
      • Livelli elevati di trigliceridi nel sangue (ipertrigliceridemia)
      • Traumi addominali
      • Alcuni farmaci
      • Infezioni
      • Anomalie anatomiche del pancreas
      • Tumori del pancreas
      • Malattie autoimmuni
      • Fibrosi cistica
      • Cause genetiche

Fattori di rischio:

    • Età (più comune negli adulti)
    • Sesso (leggermente più comune nelle donne)
    • Obesità
    • Fumo
    • Familiarità per pancreatite

I sintomi della pancreatite possono variare in base alla forma (acuta o cronica) e alla gravità dell’infiammazione.

Pancreatite acuta:

Il sintomo principale della pancreatite acuta è un dolore addominale intenso, spesso descritto come:

    • Localizzato nella parte superiore dell’addome, a volte irradiato alla schiena.
    • Costante e penetrante
    • Peggiora dopo i pasti
    • Può essere accompagnato da nausea e vomito

Altri sintomi possono includere:

    • Febbre: Indica la presenza di infiammazione.
    • Aumento della frequenza cardiaca (tachicardia): Il corpo cerca di compensare la diminuzione della pressione sanguigna causata dall’infiammazione.
    • Gonfiore addominale: Causato dall’infiammazione e dall’accumulo di liquidi.
    • Ittero: Colorazione giallastra della pelle e degli occhi, si verifica se l’infiammazione ostruisce il dotto biliare comune.
    • Difficoltà respiratorie: In caso di pancreatite grave, l’infiammazione può interessare i polmoni.
    • Ipotensione: Pressione sanguigna bassa, può verificarsi in caso di pancreatite grave con disidratazione.
    • Confusione mentale: Può essere un segno di pancreatite grave con complicanze.

Pancreatite cronica:

Nella pancreatite cronica, il dolore addominale può essere:

    • Ricorrente: Si presenta a episodi, spesso dopo i pasti.
    • Persistente: Un dolore sordo e costante.
    • Assente: In alcuni casi, la pancreatite cronica può essere asintomatica.

Altri sintomi possono includere:

    • Perdita di peso: Causato dal malassorbimento dei nutrienti.
    • Diarrea: Feci frequenti e liquide, spesso maleodoranti e con presenza di grasso non digerito (steatorrea).
    • Diabete: Il danno al pancreas può compromettere la produzione di insulina, causando diabete.

Quando preoccuparsi:

Se si verificano i seguenti sintomi, è importante consultare immediatamente un medico:

    • Dolore addominale intenso e persistente
    • Vomito incoercibile
    • Febbre alta
    • Ittero
    • Difficoltà respiratorie
    • Confusione mentale

La pancreatite, sia acuta che cronica, richiede una diagnosi accurata e un trattamento tempestivo per prevenire complicanze e migliorare la qualità della vita del paziente.

Diagnosi:

  1. Anamnesi ed esame obiettivo: Il medico raccoglierà informazioni sui tuoi sintomi, la storia clinica (incluso l’uso di alcol e la presenza di calcoli biliari), le abitudini alimentari e l’eventuale uso di farmaci. L’esame fisico può includere la palpazione dell’addome per individuare eventuali aree dolenti e la valutazione di segni di disidratazione o ittero.

  2. Esami del sangue:

    • Amilasi e lipasi: Sono enzimi prodotti dal pancreas. I loro livelli nel sangue aumentano significativamente in caso di pancreatite.
    • Test di funzionalità epatica: Valutano la funzionalità del fegato, che può essere compromessa in caso di pancreatite.
    • Glicemia: Misura il livello di zucchero nel sangue, che può essere elevato in caso di pancreatite che danneggia le cellule che producono insulina.
    • Emocromo: Per valutare la presenza di infezione o infiammazione.
    • Elettroliti: Per valutare lo stato di idratazione e l’equilibrio elettrolitico.
  3. Esami di imaging:

    • Ecografia addominale: Permette di visualizzare il pancreas e gli organi circostanti, identificare eventuali calcoli biliari e valutare la presenza di liquido nell’addome.
    • Tomografia computerizzata (TC) addominale: Fornisce immagini più dettagliate del pancreas e può rilevare infiammazione, necrosi (morte del tessuto pancreatico), pseudocisti (raccolte di liquido) o ascessi.
    • Risonanza magnetica (RM) delle vie biliari e del pancreas (colangio-RM): Può essere utile per visualizzare i dotti biliari e pancreatici e identificare eventuali ostruzioni.
    • Colangiopancreatografia retrograda endoscopica (CPRE): È una procedura che combina l’endoscopia e la radiologia per visualizzare i dotti biliari e pancreatici. Può essere utilizzata per diagnosticare e trattare i calcoli biliari che ostruiscono il dotto pancreatico.

Trattamento:

Il trattamento della pancreatite varia a seconda della forma (acuta o cronica) e della gravità.

Pancreatite acuta:

  • Ricovero ospedaliero: Spesso è necessario il ricovero in ospedale per monitorare le condizioni del paziente e fornire un supporto medico adeguato.
  • Terapia di supporto:
    • Digiuno: Per mettere a riposo il pancreas e ridurre la produzione di enzimi digestivi.
    • Fluidi per via endovenosa: Per prevenire la disidratazione e mantenere l’equilibrio elettrolitico.
    • Gestione del dolore: Antidolorifici per via endovenosa per controllare il dolore.
    • Ossigeno: Se necessario, per migliorare la respirazione.
  • Trattamento della causa sottostante:
    • Calcoli biliari: Colecistectomia laparoscopica (rimozione della cistifellea) può essere necessaria per prevenire recidive di pancreatite.
    • CPRE: Può essere utilizzata per rimuovere i calcoli biliari che ostruiscono il dotto pancreatico.

Pancreatite cronica:

  • Modifiche dello stile di vita:
    • Astensione dall’alcol: È fondamentale evitare completamente l’alcol.
    • Dieta: Seguire una dieta sana, povera di grassi e ricca di frutta e verdura.
    • Gestione del dolore: Antidolorifici, a volte anche oppioidi, per controllare il dolore cronico.
  • Terapia farmacologica:
    • Enzimi pancreatici: Per aiutare la digestione.
    • Insulina o altri farmaci per il diabete: Se il pancreas non produce abbastanza insulina.
  • Interventi endoscopici o chirurgici:
    • Per drenare pseudocisti o ascessi.
    • Per rimuovere ostruzioni nei dotti pancreatici.
    • In alcuni casi, può essere necessaria la resezione parziale del pancreas.

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